Per primeggiare nel mercato delle tecnologie mobili 5G, l’Europa vorrebbe creare una versione digitale dell’accordo di Schengen – quello che abilita la libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione.
La proposta della Ue è semplice: tutti gli Stati membri dovrebbero essere pronti a riallocare la banda 700 Mhz – attualmente utilizzata dalle Tv per il digitale terrestre – alla banda larga mobile entro il 2020 così da garantire un uso armonizzato delle frequenze e creare un vero spazio unico digitale in cui le tecnologie 5G abbiano mercato sufficiente per imporsi con le adeguate economie di scala.
Si pensava fosse un obiettivo logico e facile da raggiungere, vista anche la posta in gioco: il ritorno dell’Europa alla leadership nelle nuove tecnologie mobili. Ma così, ovviamente, non è.
“Questa banda è l’ideale per garantire ampia copertura e alte velocità di trasmissione e per dare, quindi, a tutti gli europei, anche nelle aree rurali, accesso a internet alla massima qualità, spianando la strada al 5G”, ha affermato il vicepresidente della Commissione Andrus Ansip.
A parole, tutti sono d’accordo con lui ma trovare la quadra non è semplice.
L’Italia è in prima linea tra gli Stati che si oppongono alla scadenza del 2020, chiedendone un rinvio almeno di due anni e non è sola in questa battaglia: la posizione del nostro Paese è sostenuta apertamente anche da Grecia e Romania e, meno apertamente, anche da molti altri, principalmente da quegli Stati, come la Finlandia, che confinano con paesi non europei.
In Europa, solo Francia e Germania hanno già messo all’asta la banda dei 700 MHz per i servizi mobili e sono sulla buona strada per rispettare la scadenza del 2020.
Danimarca, Svezia Regno Unito e Finlandia dovrebbero procedere con le aste entro la fine di quest’anno o l’inizio del 2017 e potrebbero rispettare la data ultima.
Tuttavia, la maggior parte degli Stati membri hanno assegnato licenze nell’ambito della banda dei 700 MHz per la trasmissione oltre il 2020.
Nel nostro paese, la banda 700 è occupata al 60% da emittenti nazionali e locali, tutti con diritti d’uso in scadenza nel 2032.
Sacrificare i 700 mhz in favore della banda larga mobile ridurrebbe del 30% la quantità di spettro a disposizione dei broadcaster.
Troppe (e troppo onerose), lamenta l’Italia, sarebbero le difficoltà del trasferimento dei servizi DTT al di fuori di quella banda in particolare nei Paesi, come appunto il nostro, in cui la televisione digitale terrestre è la principale piattaforma per la ricezione dei canali televisivi.
Secondo i calcoli dell’Ofcom, la ridestinazione della banda dei 700 MHz alla banda larga mobile entro il 2022 costerà alla sola Gran Bretagna circa 840 milioni di euro.
Bruxelles si ripete il mantra che la Ue non può perdere il treno del 5G da un paio d’anni almeno. A supporto di questo obiettivo, a dicembre 2013, la Ue ha avviato una serie di partenariati pubblico-privato per lo sviluppo del 5G nell’ambito del programma Horizon 2020 e ha messo sul piatto finanziamenti per 700 milioni di euro. La Commissione si è mossa anche sul fronte internazionale, stringendo importanti accordi bilaterali con la Corea, il Giappone e la Cina per accelerare la definizione di standard comuni.
Sarà sufficiente?
Per capire quanto siamo indietro, basti pensare che la Corea del Sud pensa di lanciare in anteprima i primi servizi 5G per le Olimpiadi invernali del 2018. Il meglio che l’Europa può sperare è di partire con le offerte per i Mondiali di calcio 2020. Siamo dunque indietro di almeno due anni.
Arrivare primi a definire lo standard per la tecnologia mobile di prossima generazione – che supporterà velocità di 10 gigabits al secondo – conta eccome, e non solo per una questione di ‘prestigio’.
Non a caso è su questo fronte che si sta consumando una forte battaglia non solo fra economie – Europa e Asia prime fra tutte – ma anche tra operatori e vendor di infrastrutture, ma anche. A livello economico ci sono in ballo le royalties dei brevetti e non solo quelli legati alle reti mobili in senso stretto, perché il 5G non servirà solo a far comunicare le persone, ma anche gli oggetti, quindi le auto, gli elettrodomestici, i sistemi medicali, le reti energetiche.
Strettamente collegato alla partenza del 5G c’è infatti il mercato dell’Internet of Things, il cui valore, per la sola Europa, è previsto nell’ordine dei 330 miliardi di euro entro il 2020.
L’Europa, insomma, non avrebbe tempo da perdere se vuole recuperare il ritardo nel 5G, ma la verità è che l’Unione è sempre più imbrigliata nelle brighe sui dettagli per rendersene conto.