Come potrà la Ue essere leader del 5G se non è neanche pronta per il 4G?
E’ questa la domanda che aleggia nella nota dell’analista John Strand, che nel rapporto ”The Wireless Ecosystem, US vs. EU” fa il paragone tra la situazione del mercato americano ed europeo.
A penalizzare fortemente l’Europa è, innanzitutto, la mancanza di operatori pan-europei con una rete 4G, cioè, che copra tutto il vecchio Continente. Negli Usa, di contro, ne esistono diversi. Mentre, poi, gli investimenti nelle reti negli Usa sono decollati – con un picco nel 2004 – in Europa negli ultimi due anni sono rimasti piatti. E così, alla fine del 2016, negli Usa due terzi degli utenti saranno 4G mentre in Europa questa percentuale a stento raggiungerà il 30%.
Fino a un decennio fa – dice Strand – la Ue rappresentava un terzo degli investimenti nelle comunicazioni mentre oggi stiamo a meno di un quinto. Nel frattempo gli Usa hanno invece mantenuto la leadership negli investimenti in infrastrutture, attestandosi a circa un terzo del totale globale tra il 2003 e il 2013. Inoltre, secondo quanto sottolineato già in un rapporto del 2014 sempre da Strand, l’approccio regolamentare ‘light’ adottato negli Usa per massimizzare gli investimenti in banda larga e innovazione ha permesso agli operatori di ottenere economie di scala, consolidarsi, guadagnare e investire.
Risultato: la Ue non solo ha continuato ad allontanarsi dagli Usa in questi due anni, ma si è scollata dai suoi stessi piani: per rispettare gli obiettivi del Digital Single Market mancano infatti 106 miliardi di investimenti.
E nulla è cambiato dopo il cambio di guardia alla Commissione europea: così come il precedente Commissario Neelie Kroes si è fermata alla teoria – con svariate analisi e disamine sul consolidamento, ma nessuna azione concreta per realizzarlo – il trio di uomini che l’ha sostituita ha continuato sulla stessa linea.
Secondo l’analisi di Strand, Ansip e Oettinger continuano a discettare sul sogno di un’Europa leader del 5G ma queste resteranno solo belle parole vuote se non si creerà un quadro regolamentare adeguato a sostenere gli investimenti. “La Ue – sottolinea l’analista – ha allo studio l’implementazione di linee guida sulla net neutrality che impediranno agli operatori di gestire le reti 5G e le tariffe di roaming verranno eliminate senza la possibilità per gli operatori di recuperare i costi per trasferire il traffico. Allo stesso tempo, l’esperienza della Danimarca dimostra che la Commissione dissuaderà operazioni di consolidamento che renderebbero più efficiente la realizzazione e la gestione delle infrastrutture”.
Molto si pontifica, insomma, ma poco si fa e “la prossima crisi in Europa sarà una crisi digitale causata dalla mancanza di investimenti nelle telecomunicazioni”, prevede Strand.
Una crisi che certo non farà bene agli Usa, dato che l’Europa è la destinazione principale delle esportazioni tech da oltreoceano.
Eppure, negli Usa c’è anche chi, “inspiegabilmente” vorrebbe imitare l’approccio europeo in cui “l’accesso wireless e internet sia regolato come le reti telefoniche”. Gli sforzi dei sostenitori di questa linea hanno portato all’approvazione, a febbraio, dell’ Open Internet Order (OIO), che proibisce qualsiasi forma di blocco di contenuti e applicazioni da parte degli Internet Service Provider, nonché l’assegnazione di priorità ad alcuni tipi di traffico rispetto ad altri dietro pagamento (c.d. paid prioritization). Se anche gli Usa continueranno su questa strada, non è difficile prevedere che anche oltreoceano gli investimenti cominceranno a calare a scapito di tutto l’ecosistema. E non è certo questa la ‘strada comune’ verso il 5G auspicata da Strand.