5G, parlare di Verticals è ancora prematuro in Italia. Prima servono le frequenze, e poi se ne riparlerà, non prima del 2022, quando la banda 700 sarà liberata dai broadcaster e destinata al mobile broadband e in futuro al 5G, per l’IoT. E non ci sono soltanto i 700 Mhz da sistemare (oggi sono usati dal digitale terrestre), perché prima della fine dell’anno è prevista la gara per l’assegnazione dei 3.6-3.8 Ghz, il Lotto B della Banda C (3.4-3.8 Ghz), la seconda porzione di spettro pioniera, individuata dal Rspg (Radio spectrum policy Group) della Ue per avviare i primi progetti sul nuovo standard wireless. Ci sarebbero anche le frequenze millimetriche a 26 Ghz, e in generale quella sopra i 6 Ghz, ma nel nostro paese la banda 26-28 Ghz è stata assegnata lo scorso anno fino al 2022 per il Fixed wireless access e per ora non è disponibile per i test.
Ma quali sono le priorità per l’Italia sulla strada del 5G?
La marcia di avvicinamento dell’Italia al 5G passa per alcune tappe, delineate da Antonio Sassano, Professore Ordinario di Ricerca Operativa della Sapienza, fra i maggiori esperti di frequenze del nostro paese, in un recente convegno che si è tenuto all’I-COM Istituto per la competitività (qui il Pdf della presentazione), ha messo in fila le tappe da rispettare per non sforare gli obiettivi del piano europeo sul 5G, con una premesse: serve una spectrum review dettagliata delle risorse spettrali.
Liberazione della Banda 700
Commissione e Parlamento Ue chiedono di liberare i 700 Mhz entro giugno 2020, con un periodo di due anni di tolleranza in più per i paesi che hanno maggiori problemi, fra cui l’Italia. Incassato l’ok a ritardare di due anni la liberazione dei 700 Mhz, l’Italia non potrà comunque esimersi dal chiudere il coordinamento internazionale con i paesi confinanti (Francia in testa, dove l’asta per i 700 Mhz c’è già stata) entro fine 2017 per evitare il rischio interferenze del segnale del digitale sui ripetitori Lte accesi in Corsica e Costa Azzurra. La Francia ci chiederà di spegnere i 4 canali in uplink (50-53) a partire da giugno 2020 per evitare interferenze.
Sempre per dicembre 2017 servirà un piano Agcom per la risistemazione dei mux del digitale terrestre, che passeranno da più di 30 a 14. Le modalità di transizione dovranno essere pronte entro giugno 2018 in linea con i tempi dettati dal Radio Spectrum Policy Group (Rspg) della Commissione Ue, mentre la migrazione vera e propria avverrà fra il 2018 e il 2020 e riguarderà il Mux 1 della Rai, le reti locali e le reti nazionali.
Prima che si parli di un’eventuale asta per l’assegnazione dei 700 Mhz in Italia bisognerà aspettare almeno il 2022 perché le telco non sono disposte a spendere per risorse frequenziali occupate da altri soggetti.
Banda 3.4-3.8 Ghz
La seconda banda per il 5G individuata dall’Rspg della Commissione Ue è la 3.4-3.8 Ghz, che nel nostro paese è parzialmente occupata dalla Difesa a scopi militari (74 Mhz), da collegamenti satellitari (Fucino) e da pochi ponti radio di broadcaster e telco e fino al 2023 dal WiMax (126 Mhz).
Su parte di questa banda (3.7-3.8 Ghz) è prevista la sperimentazione in 5 città pilota (Milano, Matera, Bari, L’Aquila, Prato) che avranno a disposizione 100 Mhz di spettro contigui, il minimo necessario per ciascun operatore per la sperimentazione sui Verticals che andrà avanti per quattro anni, fino al 2022.
Il termine ultimo per la presentazione dei progetti è fissata per il 12 giugno.
Che succederà nel 2020, si domanda Sassano, visto che a regime Agcom ha previsto due blocchi da 50 Mhz a copertura in banda 3.7-3.8 Ghz, ai quali si possono aggiungere 90 Mhz ma soltanto in alcune zone del paese in banda 3.6-3.7 Ghz?
3.4-3.8 Ghz, asta entro il 2017?
Tra l’altro, il Mise avrebbe intenzione di fare un’asta per l’assegnazione del lotto B in banda 3.4-3.8 Ghz (Banda C) entro fine 2017. E’ per questo che Mise e Agcom starebbero già lavorando sotto traccia a nuovi criteri per l’assegnazione della banda 3.4-3.8 Ghz (Banda C), da fissare entro l’anno, e con ogni probabilità sarà necessaria una nuova delibera dell’Autorità che superi i criteri fissati in precedenza per le frequenze 3.6-3.8 Ghz.
E’ poi presumibile che l’asta per i 3.4-3.8 Ghz metta a gara una porzione di spettro di 400 Mhz, il doppio rispetto ai 200 Mhz previsti in precedenza sui 3.6-3.8 Ghz per aree metropolitane e rurali. Difficile e prematuro prevedere l’incasso dell’eventuale gara per lo Stato della banda 3.6-3.8 Ghz, che potrebbe aggirarsi intorno al miliardo di euro, fatte le debite proporzioni con la gara appena conclusa sulla stessa porzione di spettro in Irlanda, che ha fruttato 78 milioni alle casse di Dublino.
C’è da dire che questa porzione di spettro è molto frammentata, veicola 192 ponti radio per lo più “broadcasting” su tutto il territorio, e lo sharing con l’incumbent Rai non sembra indicato. Sarà quindi necessario un refarming o un upgrade di queste frequenze, richiesta peraltro anche dalla Cept, la Conferenza Europea delle amministrazioni delle Poste e delle Telecomunicazioni, che tramite l’ECC (Electronic Communications Committee) ha inviato un questionario sugli usi attuali e futuri di questa banda. L’Italia non ha fornito dettagli come gli altri paesi, limitandosi a ribadire la positiva intenzione di liberare al più presto la banda 3.4-3.8 Ghz. In Francia, ad esempio, la banda è autorizzata per il Wll (Wireless local loop) fino al 2026, mentre è previsto il refarming dei ponti radio e la liberazione dei 3600-3800 Mhz, utilizzata a scopi satellitari, nel 2020.
Prospettiva della banda 3.4-3.8 Ghz
In prospettiva, al 5G secondo Sassano dovrà essere assegnata l’intera banda 3.4-3.8 Ghz, pari a 350-400 Mhz. A partire dal 2020 ne avremo bisogno in quantità sufficiente per garantire i servizi (100 Mhz contigui per singolo operatore secondo l’ITU) e la concorrenza fra diversi player. Nell’ipotesi della sperimentazione nelle 5 città italiane, dove sono stati assegnati dal Mise 100 Mhz per singolo operatore, saranno necessari 200 Mhz di spettro.
Ce la faremo?
Liberazione sincronizzata dei 700 Mhz e della banda 3.4-3.8 Ghz
L’ipotesi avanzata da Sassano è quella di una liberazione sincronizzata dei 700 Mhz e della banda 3.4-3.8 Ghz, quest’ultima da effettuare in due step. Il primo, la liberazione di 200 Mhz in banda 3.6-3.8 Ghz (2018-2020) con il refarming o l’upgrade dei suoi usi, con la ristrutturazione dei ponti radio “broadcasting” nella trasformazione delle reti Tv. La liberazione in seconda battuta (nel 2022-2023) di 150-200 Mhz della banda 3.4-3.6 Ghz alla scadenza naturale delle concessioni WiMax in banda 3.5 Ghz, con il conseguente “sharing” con gli usi satellitari (Fucino) e radar militari.
Di certo la banda 3.4-3.8 Ghz (270 Mhz in banda 3.6-3.8 Ghz e 120 Mhz in banda 3.4-3.6 Ghz) potrebbe suscitare l’interesse di diversi player: magari non in prima battuta delle grandi telco, ma di certo degli operatori a banda larga (ultimo miglio), dei nuovi entranti, fra cui perché no gli OTT e degli operatori WiMax, che detengono già le licenze in scadenza nel 2023, come ad esempio Linkem o Tiscali (dopo l’acquisizione di Aria). Tiscali negli anni, già a partire dal 2008, ha investito molto per convertire le antenne WiMax in Lte (ne ha 200) per portare l’ultrabroadband a case e aziende soprattutto nelle aree in digital divide e in futuro appoggiandosi alla rete in fibra di Open Fiber. Per gli operatori WiMax, che non vorranno certo smantellare la loro rete, il 3.5 Ghz è un asset strategico anche per il futuro. Resta da capire cosa succederà dopo la scadenza della licenza d’uso delle frequenze nel 2023, un’ipotesi è il loro spostamento su altre bande e il refarming.
Gioco di incastri
In conclusione, un gioco di incastri piuttosto complesso, con le telco che apparentemente non sembrano troppo ansiose di partecipare a breve a nuove aste competitive, in attesa di capire se effettivamente i business case del 5G cominceranno ad emergere in fase sperimentale. Certo, le frequenze alla fine andranno in vendita anche da noi (una volta liberate) perché lo Stato non può certo permettersi di regalare una risorsa scarsa, per la quale in altri paesi si spendono miliardi.
Resta da capire se i tempi saranno rispettati, se la Difesa (75 Mhz) e i broadcaster collaboreranno, fra radar e ponti radio da traslocare altrove.