Dibattito

5G, perché la rete unica non è un’idea da buttare

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Non si spegne il dibattito sulla rete unica 5G, dopo il recente polverone sollevato dall’ipotesi di realizzare per ragioni di sicurezza una rete nazionale finanziata e gestita dal Governo Usa finita sul tavolo di Trump.

“Una rete 5G nazionale non è poi un’idea così stupida”. Questo il titolo (controcorrente) di un editoriale pubblicato sull’Economist (Sharing spectrum A national 5G wireless network is not such a stupid idea), scritto alla luce del recente polverone sollevato dall’ipotesi di nazionalizzazione della rete wireless americana, finita sul tavolo di Trump su proposta della National Security Agency per ragioni di sicurezza (contro la cyberminaccia cinese) trapelata sul media globali, prima di essere completamente smontata e fatta a pezzi dagli esperti (l’analista John Strand l’ha derubrica a Fake news) e dalla stessa FCC (Federal Communication Commission), il regolatore Usa delle comunicazioni.

 

Ma l’idea di una rete unica 5G nazionalizzata è davvero così balzana?

Secondo l’Economist, per trent’anni il mercato delle tlc, quanto meno quello dei paesi più ricchi, si è basato su un modello ben definito: più deregulation privatizzazioni per alimentare una maggior concorrenza.

Una direzione indicata dall’America a partire dal 1984, con lo spacchettamento dell’ex monopolista At&t.

E’ per questo che il report sulla rete unica 5G, che dovrebbe essere realizzata e gestita dal governo Usa, presentato dalla National Security Agency alla Casa Bianca, ha suscitato grande sorpresa e scalpore nella industry.

Il documento è stato aspramente criticato e rapidamente bocciato da esperti e regolatori, secondo cui per proteggere la rete Usa dagli hacker cinesi (motivo principale della proposta) non è necessario che lo Stato gestisca direttamente il network nel suo complesso. Tanto più che il mercato Usa è già interdetto per i maggiori produttori cinesi di apparecchiature di rete (Huawei ma anche Zte), che non possono quindi vendere le loro tecnologie agli operatori americani.

Una rete a banda larga gestita direttamente dal governo, secondo i detrattori del progetto, soffocherebbe la concorrenza e accrescerebbe il rischio di ampliare a dismisura i margini di manovra e di intervento delle agenzie di sicurezza americane.

Detto questo, la proposta della National Security Agency contiene un’altra idea che comunque la si pensi merita attenzione, e non solo in America, vale a dire l’idea che un’unica rete 5G nazionale wholesale potrebbe essere utilizzata da diversi service provider, sulla falsariga di quanto avviene per diverse reti ferroviarie ed elettriche. Un modello totalmente all’ingrosso del network 5G, che scremato dalle ragioni legate alla security nazionali degli Usa varrebbe la pena prendere in considerazione, quanto meno dal punto di vista teorico.

Operatori wholesale, esempi sul fisso

Le reti Tlc fisse wholesale non sono una novità a livello globale. Funziona così: gli operatori all’ingrosso non forniscono i servizi, ma la semplice capacità di banda ad altri soggetti che condividono l’utilizzo della stessa rete e poi si fanno concorrenza fra loro sui servizi.

Esempi del genere si riscontrano a Singapore, in Nuova Zelanda e in Svezia. Anche nel mobile un modello analogo di network sharing esiste già, anche se è più unico che raro, come ad esempio il caso del Ruanda e quello più significativo del Messico di Red Compartida (letteralmente significa “Rete condivisa”), che dovrebbe partire a breve. Si tratta di una rete realizzata da un consorzio privato, che però può contare sullo spettro radio e sui collegamenti in fibra fra stazioni base concessi direttamente dal governo.

Le critiche dei detrattori

Il rischio di questo modello, secondo i detrattori, è che il provider unico all’ingrosso, senza il pungolo della concorrenza, fornisca un servizio scadente. I detrattori di questo modello fanno l’esempio del provider australiano National Broadband Network, controllato dal governo, che fornisce un servizio scadente, al contrario ad esempio di quanto avviene in Corea del Sud dove la concorrenza c’è eccome.

Sta di fatto, che realizzare le nuove reti 5G costa caro, le antenne da realizzare soprattutto in ambiente urbano saranno moltissime, e le alte frequenze destinate al 5G non penetrano negli edifici e non sono in grado di oltrepassare facilmente ostacoli solidi e le barriere in cemento che formano il panorama urbano delle città.

Reti di proprietà, lievitano i costi

“Se ogni provider realizzerà una sua rete 5G di proprietà, i costi saranno inutilmente alti e talvolta proibitivi”, scrive l’Economist, secondo cui una rete unica sarebbe meno cara e potrebbe accrescere la concorrenza sul fronte dei servizi, secondo l’Economist che si spinge oltre: se le imprese potessero affittare la capacità trasmissiva senza l’obbligo di costruire una rete di proprietà, allo stesso modo in cui le imprese sfruttano smartphone e app store per raggiungere i consumatori, lo sviluppo di nuovi servizi connessi in ottica Internet of Things sarebbe certamente più rapido e “vibrante”.

Spectrum sharing

Secondo l’Economist, infine, i governi non dovrebbero per forza spingersi fino a commissionare la creazione di un network unico all’ingrosso, come nel caso del Messico, ma potrebbero comunque beneficiare in qualche misura dai benefici dello sharing (di un’unica rete ndr). Per fare ciò, sarebbe già un passo avanti abolire le leggi che in diversi stati Usa impediscono alle municipalità di realizzare reti cittadine. I regolatori potrebbero inoltre incoraggiare forme diverse di spectrum sharing. In conclusione, il messaggio da conservare dalla proposta della National Security Agency alla Casa Bianca riguarda l’opportunità di rivedere la concorrenza sul fronte infrastrutturale. Un’unica rete 5G, alla fine, potrebbe bastare.

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