Per dirla con il Commissario europeo al Digital Single Market, Andrus Ansip, “non c’è quasi nulla al giorno d’oggi che le tecnologie mobili non abbiano toccato e trasformato”, da come viviamo e lavoriamo a come comunichiamo, viaggiamo, faccio acquisti. Una crescita, quella delle tecnologie mobili, che non sembra volersi arrestare, anzi, viaggia velocemente verso la quinta generazione. Entro il 2020, calcola il vicepresidente Ansip, 26 miliardi di dispositivi saranno connessi alla rete e il 70% delle persone avrà uno smartphone. Oggi, una persona su due nel mondo è abbonata ai servizi mobili, dieci anni fa era una su 5.
Con la differenza, rispetto a 10 anni fa, che l’Europa – che pure col GSM aveva contribuito all’esplosione della rivoluzione mobile – è rimasta molto indietro rispetto alle altre principali economie e sta cercando di giocarsi il tutto per tutto per risalire sul treno dei pionieri delle nuove tecnologie, in particolare del 5G.
La prossima generazione di servizi mobili è al centro del Mobile World Congress di Barcellona, come del resto è stato anche lo scorso anno: si susseguono gli annunci, le alleanze, le partnership e i piani d’azione in attesa di uno standard comune per una tecnologia che interesserà diversi settori, da quello automobilistico alla sanità, dalle smart city alla logistica.
La Ue, che ha già messo sul piatto 700 milioni di euro e avviato partnership con Cina, Giappone e Corea ha appena annunciato un nuovo accordo col Brasile (prossimi step accordi con India e Usa) e un piano d’azione che sarà pronto entro la fine dell’anno e si spera permetterà all’Europa di farsi trovare preparata quando, presumibilmente nel 2020, arriverà lo standard 5G.
Il piano d’azione è stato concordato con l’industria, ha detto il Commissario per la Digital Economy Gunther Oettinger, ed è stato pensato per riflettere gli interessi non solo delle telco ma anche di tutti gli altri settori coinvolti, dalla logistica, ai trasporti, dalla sanità all’energia. Includerà un calendario per l’implementazione commerciale del 5G e la pianificazione dei necessari passi intermedi, nonché una strategia per coinvolgere altri settori verticali. Con questi ultimi, bisognerà identificare le sinergie, avviare un processo di standardizzazione e investimenti congiunti nelle infrastrutture. Il piano prevede poi incentivi per gli investimenti nella fibra ottica, necessaria per il backhaul del 5G, e sottolinea la necessità di promuovere non meglio specificate dinamiche per investimenti pan-europei.
Bisogna evitare, insomma quanto accaduto con il 4G, che ha segnato il definitivo sorpasso di altre aree del mondo, dagli Usa alla Corea, su un’Europa incapace di fare squadra e di mettere da parte i ‘silos nazionali’, come li ha chiamati Oettinger, su questioni cruciali come la gestione dello spettro radio.
Come ha fatto notare anche il Ceo Vodafone Vittorio Colao, “Cina e Stati Uniti sono e saranno avanti semplicemente perché in Europa non ci sono regole uniformi sullo spettro e l’accesso”.
Proprio per questo la Ue ha già lanciato la proposta di destinare la banda 700 Mhz alla banda larga mobile entro il 2020, ma in molti nutrono seri dubbi sul fatto che gli Stati membri riusciranno a mettersi d’accordo su una definizione comune di 5G e su una ripartizione armonizzata delle frequenze necessarie per la tecnologia.
Anche l’Europarlamentare Pilar del Castillo, relatrice della proposta di regolamento sul mercato unico europeo delle comunicazioni elettroniche, ha sottolineato l’importanza “di eliminare l’attuale frammentazione nelle regolamentazioni e nei prezzi dello spettro radio” in Europa.
E chissà se a Barcellona ancora riecheggiano gli strali dell’ex commissario Neelie Kroes che spesso e volentieri ha invitato, invano, gli Stati membri a superare le ‘fortezze nazionali’ e a pensare ai vantaggi possibili da un vero mercato unico digitale. Correva l’anno 2012, il mercato unico digitale sembrava già di toccarlo con mano e di 5G ancora non si sentiva quasi parlare…