Alle associazioni, ai politici e ai cittadini che sostengono, senza evidenze scientifiche, “il 5G fa male alla salute, va fermato”, basta mostrare e spiegare l’immagine di copertina tratta dal Rapporto ISTISAN “Esposizione a radiofrequenze e tumori: sintesi delle evidenze scientifiche”, pubblicato oggi dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS).
Nella figura è messo a confronto il fascio di radiazione emesso da una stazione radio base 4G e da una 5G. Cosa si vede: nel primo caso si ha un diagramma di irradiazione fisso. Il raggio di esposizione di una stazione base 4G è maggiore rispetto al 5G e il fascio di radiazione si propaga anche su persone, animali e oggetti che non utilizzano la tecnologia 4G. Invece per la stazione radio base 5G il diagramma di irradiazione è dinamico e indirizzabile verso l’utente: infatti, si vede bene che ogni servizio vede unicamente una “porzione virtuale” della rete (slice) e tutti i soggetti che in quel momento non richiedono una connessione mobile di quinta generazione non sono interessati dal fascio di radiazione.
Dunque la capacità di indirizzare il fascio di radiazione emesso dalla stazione radio base verso l’utente è una caratteristica della tecnologia 5G, che in Italia opererà nelle bande di frequenza 694-790 MHz, 3,6-3,8 GHz e 26,5-27,5 GHz. “La banda 26,5-27,5 GHz riguarda le cosiddette onde millimetriche che, a causa dell’elevata attenuazione subìta nella propagazione”, si legge nello studio dall’ISS, “danno luogo ad aree di copertura spazialmente molto limitate. Questa caratteristica, insieme alla molteplicità di applicazioni della tecnologia 5G (reti di connessione di tipo uomo-uomo, uomo-macchina, macchina-macchina), porterà ad un incremento notevole del numero di impianti installati sul territori”.
Ecco perché è destinato ad aumentare il numero delle antenne 5G. Ma più antenne non significheranno più esposizione per le persone, come ci ha detto durante l’intervista Alessandro Polichetti è l’esperto più autorevole dell’Istituto Superiore di Sanità sugli effetti dei campi elettromagnetici sulla salute.
E anche il rapporto pubblicato oggi dall’ISS spiega che “se da un lato aumenteranno sul territorio i punti di emissione di segnali elettromagnetici, dall’altro questo aumento porterà a potenze medie degli impianti emittenti più basse” rispetto alle attuali antenne 4G.
Come mai si realizza questa sorta di “paradosso”?
Perché un aspetto di particolare novità della tecnologia 5G è che, oltre alla comunicazione tra persone, sarà finalizzata anche al cosiddetto “Internet delle cose”, in cui sono i vari dispositivi wireless a comunicare direttamente tra loro utilizzando le frequenze nella banda 24-28 GHz (spesso indicate come “onde millimetriche”, anche se per la precisione quest’ultime corrispondono alle frequenze comprese tra 30 e 300 GHz), attualmente molto poco, o quasi per niente, utilizzata.
Le onde elettromagnetiche a frequenze così elevate si propagano difficilmente su lunghe distanze, non riuscendo a penetrare attraverso edifici o a superare ostacoli, ed essendo facilmente assorbite dalla pioggia o dalle foglie. Per questo motivo sarà necessario installare numerosi ripetitori che serviranno le cosiddette “small cells”, aree di territorio dal raggio che può andare da poche decine di metri a circa 2 km. Per coprire queste celle di dimensioni più piccole di quelle attualmente utilizzate per la telefonia cellulare saranno necessarie potenze di emissione più basse di quelle attuali, con una distribuzione dei livelli di esposizione più uniforme e con picchi di emissione più bassi nelle zone in prossimità delle antenne 5G.
ISS: “l’uso dei cellulari per oltre 10 anni non aumenta il rischio tumori”
Nel rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità si legge anche che “in base alle evidenze epidemiologiche attuali, l’uso del cellulare non risulta associato all’incidenza di neoplasie nelle aree più esposte alle radiofrequenze durante le chiamate vocali”. La meta-analisi dei numerosi studi pubblicati nel periodo 1999-2017 non rileva infatti, è scritto nel report, incrementi dei rischi di tumori maligni (glioma) o benigni (meningioma, neuroma acustico, tumori delle ghiandole salivari) in relazione all’uso prolungato (≥10 anni) dei telefoni mobili.
Rispetto alla valutazione della IARC nel 2011, le stime di rischio considerate nel rapporto sono più numerose e più precise. “I notevoli eccessi di rischio osservati in alcuni studi caso-controllo”, scrivono i ricercatori, “non sono coerenti con l’andamento temporale dei tassi d’incidenza dei tumori cerebrali che, a quasi 30 anni dall’introduzione dei cellulari, non hanno risentito del rapido e notevole aumento della prevalenza di esposizione”.
Ma mancano i dati sui pericoli dell’utilizzo degli smartphone sin dall’infanzia
Sono in corso ulteriori studi orientati a chiarire le residue incertezze riguardo ai tumori a più lenta crescita e all’uso del cellulare iniziato durante l’infanzia, conclude il rapporto, che è una rassegna delle evidenze scientifiche sugli eventuali effetti cancerogeni dell’esposizione a radiofrequenze.