5G e sviluppo di reti wireless capitolo centrale del nuovo piano per la banda ultralarga 2023-2026, approvato la scorsa settimana dal Comitato interministeriale per la trasformazione digitale. Un piano che destina più di 1,1 miliardi di euro allo sviluppo di nuovi progetti con tecnologie mobili.
In primo luogo, il nuovo piano spinge per l’adozione del ‘vero 5G’, vale a dire il 5G standalone (autonomo dal 4G) su tutto il territorio nazionale entro il 2026. Un cambio di paradigma sostanziale e molto sfidante, che imporrà una forte accelerazione degli investimenti e un’ottimizzazione dell’uso degli impianti di trasmissione esistenti per il prevedibile aumento di potenza trasmissiva necessario. Come dargli torto? Senza SA è sempre 4G anche se le frequenze sono quelle del 5G. Vedremo ora come tutto ciò si tradurrà in azioni concrete.
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Limiti elettromagnetici: innalzamento e modalità di misurazione anti- accaparramento
In particolare, il nuovo piano per il mobile prevede di 5 interventi suddivisi su 3 cluster. Il primo cluster riguarda la normativa, la regolamentazione e l’incremento della capacità operativa della PA e delle Telco e prevede la valutazione dell’innalzamento e delle modalità di misurazione dei limiti elettromagnetici, avviando un dialogo istituzionale che, gioco forza, oltre al DTD e al Mimit, dovrà confrontarsi con il ministero della sanità e dell’Ambiente.
Interessante notare che, in primo luogo, si vogliono rivedere le modalità di misurazione delle emissioni in vigore nel nostro paese, per verificare “la congruenza delle attuali modalità di rilevazione dei dati nazionali rispetto a quelle europee” che favoriscano “un utilizzo più efficiente dello spettro radio”. Fra le righe, si legge quindi la volontà di affrontare da un lato il nodo dei limiti italiani, quei 6 v/m che sono i più bassi, rigidi e conservativi d’Europa rispetto ad una media Ue di 61 v/m. Nel contempo, il secondo obiettivo è quello di eliminare il fenomeno sottotraccia dell’accaparramento spettrale, per cui in alcuni casi gli operatori dichiarano valori di emissione nominali, e non effettivi, per accaparrarsi appunto tutta la capacità trasmissiva di un dato impianto ed escludere così i competitor.
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Valori reali e non più nominali
L’obiettivo dichiarato è quello di arrivare alla misurazione di valori reali di potenza irradiata dalle attuali reti e all’adozione delle tecnologie più performanti ed efficienti (leggi 5G), superando anche la difficoltà di trovare nuove stazioni radiobase nelle aree urbane, sfruttando gli impianti che in realtà dispongono di capacità trasmissiva non effettivamente utilizzata rispetto a quanto dichiarato nominalmente.
La vera domanda sull’innalzamento dei limiti: di quanto si devono alzare?
La vera domanda da porre, però, è di che misura sarà l’eventuale incremento dei limiti? Ampio, fino a 61 v/m, o più contenuto? Recentemente si era parlato di un possibile incremento a 24 o 30 v/m, senza però una base scientifica ben chiara sul valore esatto da scegliere. Ma al di là di questo, il punto vero è che se l’aumento sarà ampio c’è il rischio che si dia il via ad una nuova fase di accaparramento, mentre con un incremento più contenuto sarebbe più facile tenere sotto controllo il livello di emissioni e ridare così trasparenza all’intero settore. Questa seconda ipotesi è probabilmente preferibile. Tanto più che il secondo Cluster del nuovo piano riguarda le piattaforme e le basi dati informative con il rilancio del Catasto Elettromagnetico Nazionale (CEN).
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Rilancio del Catasto Elettromagnetico Nazionale (CEN)
L’obiettivo finale, con una misurazione regolare e delle emissioni reali, è la costituzione del CEN (Catasto Elettromagnetico Nazionale), che contenga i dati aggiornati provenienti dai diversi CER (Catasto Elettromagnetico Regionale) a cura delle Arpa (Agenzia regionale per l’ambiente) regionali sotto l’egida dell’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale). Soltanto alcune (poche) regioni italiane stanno alimentando il Catasto Elettromagnetico Nazionale, ed è per questo che l’obiettivo è raggiungere invece una standardizzazione della raccolta di dati e misurazioni elettromagnetiche di tutto il territorio nazionale.
Realizzazione di reti 5G di proprietà pubblica
Il terzo Cluster riguarda la domanda qualificata della PA – Sviluppo di reti 5G di nuova generazione e servizi innovativi (leggi Verticals).
In questo caso, il nuovo piano non parla di nuove frequenze da dedicare alle reti locali. La parola frequenze nel nuovo piano non c’è. Tanto più che se servono delle frequenze locali si può sempre fare ricorso a quelle degli operatori, come già succede in alcuni casi nel nostro paese ad esempio al Campus universitario di Palermo realizzato da Vodafone.
E’ vero che in altri paesi, come la Germania, una consistente porzione di spettro pari a 100 Mhz è stata dedicata alle reti private 5G, ma resta da capire quanto questa decisione sia stata un successo, un flop o quanto meno deludente dopo l’iniziale entusiasmo.
Nel piano, è previsto un finanziamento di 250 milioni di euro per la realizzazione di una rete multi operatore 5G di proprietà pubblica, per coprire anche le gallerie, lungo la rete ferroviaria dell’alta velocità. L’intervento sarà realizzato insieme alle Ferrovie dello Sato, sulla base del protocollo d’intesa siglato a maggio.
5G in mobilità – copertura DAS delle gallerie “Milano – Cortina 2026”
Un intervento di 50 milioni di euro è previsto per la copertura 4G e 5G lungo la rete stradale, incluse le tratte in galleria, per tutte le strade che portano alle sedi delle Olimpiadi invernali 2026 di Cortina, da realizzare con sistemi DAS (Distributed Antenna System) che garantiscano il 5G anche in galleria, oltre che una rete in fibra ottica sempre di proprietà pubblica al servizio della suddetta infrastruttura. Sono una novantina le gallerie interessate, su una tratta di 130 chilometri in Lombardia e Veneto. L’intervento sarà realizzato in collaborazione con ANAS, Dipartimento per lo Sport, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e Mimit.
400 milioni ai Verticals 5G tramite DAS. Altri 400 milioni per l’Edge Cloud Computing. Chi investirà nell’Edge Cloud Computing?
L’investimento più consistente, pari a 800 milioni di euro, è destinato al finanziamento di progetti per la realizzazione da parte di grandi enti pubblici (grandi ospedali, campus universitari, edifici pubblici di particolare interesse per il pubblico) e da parte di distretti industriali, aree portuali, poli di alta specializzazione e aree agricole (in chiave agritech).
In dettaglio, 400 milioni sono destinati allo sviluppo di servizi innovativi 5G (Verticals), anche mediante DAS indoor e outdoor e su accesso fisso ultrabroadband VHCN.
Altri 400 milioni di euro sono destinati invece allo sviluppo e la sperimentazione di servizi innovativi (applicazioni di realtà virtuale/aumentata, intelligenza artificiale) basati sull’uso dell’Edge Cloud Computing destinato a reti fisse e mobili. Previste in questo caso due modalità di intervento: diretto a sportello oppure mediato dalle regioni.
A proposito dell’Edge Cloud Computing, questa tecnologia consente una capacità di calcolo necessaria ad esempio per nuovi servizi come ad esempio la guida autonoma, in periferia così da garantire una latenza adeguata a servizi che devono necessariamente essere real time. Il tema è molto importante anche perché bisognerà capire chi investirà in questi server periferici. Gli OTT, i Cloud Provider (Amazon, Akamai ecc) o le telco?
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