Un manifesto in piena regola sulle priorità per lo sviluppo del Digitale e delle tecnologie ICT. Lo ha pubblicato Nicola Zingaretti, deputato del Pd già presidente della Regione Lazio, sul sito della sua fondazione Demo, al cui interno c’è un blog dedicato appunto al digitale e all’intelligenza artificiale. Chissà se gli altri esponenti del Pd sono d’accordo con lui, anche perché da mesi in tema di digitale e telecomunicazioni tutto tace. A partire da Elly Schlein, che non ci risulta abbia mai parlato di politiche per lo sviluppo dell’innovazione digitale, di intelligenza artificiale e tecnologie in genere.
Ma cosa pensa Zingaretti di 5G, AI, Cloud e delle altre tecnologie del digitale?
“Quando si parla di Digitale ed ICT sembra che ormai tutti siano esperti – scrive Zingaretti – La realtà è che molti usano solo le cosiddette parole d’ordine senza però realmente capire il contesto in cui le varie tecnologie operano. Ed ecco che sentiamo spesso parlare di 5G, Intelligenza Artificiale, Cloud Computing, Edge Cloud, IoT, FTTH, WiFi, ecc. Il salto in avanti sarebbe quello di articolare un disegno di futuro per il nostro paese e per l’Europa. Nessuno, con visione, riesce a proporre l’Italia che vorrebbe e come queste tecnologie possano aiutare, a cambiare, a crescere, a vivere meglio”.
Quali sono i punti cardine dentro i quali muoversi?
Per Zingaretti, i riferimenti fondamentali del mondo digitale, dell’ecosistema dell’ICT, sono la connettività fissa e mobile, i data center e i dati stessi e le applicazioni.
Il predominio americano dei GAFAM
Zingaretti prosegue illustrando il quadro dell’ecosistema digitale dal suo pinto di vista. “I primi a comprendere l’importanza dei dati e delle applicazioni sono stati gli americani. Hanno immediatamente capito come costruire valore dalle tecnologie che non necessariamente avevano sviluppato loro. Pochi sanno ad esempio che uno dei primi motori di ricerca del mondo era italiano (Arianna), nato anni prima di Google. Come però spesso accade, il nostro sistema paese e l’industria italiana non ne hanno compreso le potenzialità e non hanno sostenuto l’innovazione e la ricerca.
Negli Stati Uniti invece il tessuto dei Venture Capital ed il Governo hanno reso possibile lo sviluppo di quello che va sotto il nome di GAFAM (Amazon, Apple, Google, Meta e Microsoft).
La massa critica di dati ed applicazioni che questi 5 soggetti hanno ormai immagazzinato e gestiscono è tale per cui pensare di competere è puramente follia”.
La concorrenza cinese
Gli unici in grado di competere? “Sono i cinesi con Alibaba, Baidu e Tencent in primis – continua Zingaretti – La quantità di dati disponibili sul mercato cinese è immensa ed unica. Nel paese asiatico sono nate addirittura delle Borse dei dati che sono come delle vere e proprie borse valori dove i dati possono essere venduti e comprati. Questo per consentire anche alle piccole e medie aziende di averne accesso o di poter valorizzare i propri dati”.
E l’Europa?
Zingaretti nutre poche speranze sul ruolo dell’Europa in questo contesto globale dell’ecosistema digitale. “Purtroppo per noi italiani ed europei competere su questo terreno è pura utopia – scrive Zingaretti – Quello che dobbiamo cercare di fare è trovare innovativi modelli di collaborazione e di innovazione”.
Ma dove sono i data center che ospitano questi dati?
“I grandi data center che ospitano i dati sono ormai distribuiti in tutto il mondo. Anche in Italia, tipicamente nell’hinterland milanese, si sono stabiliti i primi.
Pochi sanno però che, escluse alcune eccezioni di carattere nazionale, i grandi data center che ospitano i GAFAM sono di proprietà americana. Difficile, ma non impossibile, anche in questo caso pensare di spostare queste grandi quantità di dati”, prosegue.
Ma allora dove possiamo giocare un ruolo?
“Come abbiamo detto all’inizio, la connettività si divide in due: accesso e backbone.
L’accesso è una componente fisica strettamente legata alla geografia ed al territorio. Infrastrutture di cavi e torri per antenne che sono distribuite su tutto il paese. In Italia Sparkle”, scrive Zingaretti.
Una idea per ritrovare centralità
“Da alcuni anni stiamo vivendo un passaggio epocale. Il passaggio dal rame, che ha caratterizzato le nostre reti di accesso negli ultimi 80 anni, alla fibra ottica – scrive ancora il deputato del Pd – Queste reti sono capillari e pervasive, strettamente attaccate al territorio. Qualcosa che può essere fatto in Italia solo da imprese, cittadini e politica nazionale. Sarebbe bello rompere meccanismi ideologici e muoverci tutti nella direzione di comune interesse perché queste vengano realizzate il più velocemente possibile”, aggiunge.
Separazione della rete Tim: Dopo l’uscita di KKR occasione per il controllo del MEF
“Sulla partita di separazione della rete di TIM a questo punto bisognerà vigilare bene e dare indirizzi chiari. Il MEF partecipa al 20%. Il fondo che controllerà la rete sarà un fondo americano ma è più che probabile che tra qualche anno, a cablaggio terminato, sceglierà di mettere sul mercato le proprie quote (per realizzare il suo guadagno) e questa potrebbe essere l’occasione affinché la rete diventi controllata dal MEF così come Enel, Terna o ENI”, auspica Zingaretti, che dà per fatta l’operazione di cessione di NetCo al fondo americano.
La diffusione della fibra fino a casa darà il via alla possibilità di usare a cittadini ed imprese italiane le applicazioni in maniera più efficace ed efficiente, contribuendo ad una vera digitalizzazione e alfabetizzazione digitale del paese.
Servono data center distribuiti sul territorio: Italia ed Europa puntino su EDGE Data Center
“In questo scenario le grandi quantità di dati dovranno essere ospitate in data center che non potranno più essere pochi e concentrati in una città per nazione – scrive ancora Zingaretti – Dovranno essere distribuiti sul territorio. Ed ecco un primo ambito nel quale dobbiamo ribaltare le dinamiche. I data center distribuiti o meglio gli EDGE Data Center devono rappresentare per l’Italia e per l’Europa una occasione di riscatto. Dobbiamo avere grandi multinazionali italiane ed europee che li posseggano e li gestiscano”.
A cosa serve davvero il 5G?
“Tutti parliamo del 5G e pensiamo agli smartphone. Ebbene il 5G in realtà serve a ben altro. Il 5G è l’abilitatore del cosiddetto IoT (Internet of Things) l’internet delle cose e soprattutto dell’internet per l’industria”, dice Zingaretti, senza però approfondire il ruolo degli operatori che non sembrano in grado (o non vogliono) investire più di tanto nel nuovo standard di comunicazioni mobili.
Ma che cosa è l’internet delle cose?
Scrive ancora Nicola Zingaretti: “Ebbene, la tecnologia della sensoristica è talmente evoluta che un piccolissimo e a volte invisibile sensore (di temperatura, di pressione, di posizione, di umidità, di luce, ecc.) può essere collegato in rete (ad internet) e può fornire le sue informazioni che vengono immagazzinate nei data center ed elaborate dalle applicazioni.
Per collegare questo minuscolo sensore ad internet si usano reti wireless 5G. Questo perché lo standard 5G consente il collegamento di un numero enormemente grande di oggetti (difficile con il 4G) e con una affidabilità elevatissima (non raggiungibile con WiFi).
In una economia manifatturiera come quella italiana è facile capire l’importanza di sviluppare il 5G e l’IoT per disseminare i macchinari delle nostre aziende di sensori. Questo consentirebbe di raccogliere informazioni che opportunamente elaborate consentirebbero di migliorare i processi produttivi rendendoli più efficienti e rendendo quindi le nostre imprese più competitive sui mercati globali”.
Ma chi elabora queste informazioni e dove?
Infine, chiude Zingaretti parlando di Intelligenza Artificiale. “I dati saranno elaborati in Edge Data Center da sistemi di Intelligenza Artificiale e Machine Learning. Abbiamo in sostanza l’occasione di sviluppare nostre applicazioni di AI.
Una applicazione di AI per diventare operativa e ‘intelligente’ ha bisogno di ‘imparare’. Per imparare deve analizzare e correlare grandi quantità di dati. Dati che sarebbero forniti dalle nostre imprese e dai nostri cittadini.
L’occasione è unica. Ma quanti, nel mondo politico che è chiamato a creare le condizioni perché questo accada, sono in grado di comprenderlo? Quanti sono in grado di sapere cosa deve essere fatto per creare quelle condizioni che 30 anni fa negli Stati Uniti hanno fatto nascere GAFAM? Come direbbe qualcuno, lo scopriremo solo vivendo”.