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5G, Blefari Melazzi (CNIT): ‘La radio di 5G è cosa buona, ma da sola non basta. Servono servizi, applicazioni e terminali nuovi e un nuovo ecosistema’

Procede la diffusione della fibra e del 5G nel nostro paese, che pur con difficoltà sta ampliando la portata delle nuove reti ultrabroadband. La connettività è un must, non soltanto per i fondi del PNRR, “però la rete cellulare non basta, servono nuovi servizi, nuove applicazioni, nuovi terminali e un nuovo ecosistema” perché il nuovo standard di comunicazione mobile decolli sul serio. Lo ha detto il professor Nicola Blefari Melazzi, presidente del CNIT (Consorzio Nazionale Interuniversitario per le telecomunicazioni) e della Fondazione RESTART, che gestisce l’omonimo partenariato finanziato con fondi PNRR, e promotore del 5G Italy, la principale conferenza nazionale e internazionale della industry delle Tlc.

Key4biz. Professore come procede la diffusone del 5G nel paese?

Blefari Melazzi. Procede, però la rete radio da sola non basta. La radio è un mezzo, che mette in comunicazioni dispositivi di utente con altri dispositivi di utente o con servizi/applicazioni/server/cloud. La radio sta in mezzo ad altre due componenti del sistema: se mancano dispositivi di utente adeguati o mancano servizi/applicazioni/server/cloud adeguati, la radio ha poca ragione di essere o non esplica a pieno il proprio potenziale. Ad esempio, 1G non aveva telefoni adeguati che sono arrivati solo con 2G; 3G non aveva gli smartphone evoluti che sono arrivati con 4G (e non aveva sufficienti servizi/applicazioni mobili). Nel caso di 5G mancano dispositivi innovativi e soprattutto manca la parte servizi/applicazioni/server/cloud innovativa. Infatti, la vera innovazione di 5G non sta tanto nel miglioramento delle prestazioni della sua radio, importante, fondamentale, ma che si “limita” a continuare un percorso di miglioramenti; la vera novità di 5G sta nella sua core network softwarizzata e nell’edge cloud. Ora, oggi, in Italia e anche altrove, questa parte non è ancora implementata, tranne eccezioni. Quindi, abbiamo una rete 5G monca di una parte fondamentale; non abbiamo ciò che si chiama in gergo tecnico una 5G stand-alone: abbiamo la parte radio di 5G con prestazioni migliori di 4G, che però si poggia sulla parte di rete fissa di 4G e quindi non si vede come potrebbe esplicare il suo pieno potenziale. È come avere un ristorante con una nuova gestione in cui il personale di sala è nuovo ed esperto ma la cucina è rimasta quella vecchia e non migliorata. Di più, anche la 5G stand alone non sarà sufficiente ad assicurare il successo se non si sviluppano applicazioni che la sfruttino. Infine, 5G è una rete di accesso e quindi offre le sue novità prestazionali e funzionali appunto nella parte di accesso di Internet, cioè nella sua periferia. Per alcune cose ciò è sufficiente, se il resto di Internet è ben dimensionato. Per altre no, ad esempio la latenza end-to-end. Tutto ciò è stato ampiamente discusso, ad esempio nella conferenza 5GItaly (https://www.5gitaly.eu/) a partire dal 2018, insieme alla questione della mancanza di competenze, ma si continuano a sentire critiche alla presunta incapacità odierna di 5G di soddisfare le aspettative.

Key4biz. Ma in passato con le generazioni precedenti era la stessa cosa?

Blefari Melazzi.  Sì. Possiamo partire da una considerazione: sinora le generazioni cellulari hanno esplicato il proprio pieno potenziale ogni due generazioni, nel senso che la completa adozione di una generazione si è realizzata nella generazione seguente. La telefonia cellulare introdotta con 1G si è veramente diffusa solo con 2G. L’uso di Internet e dei dati in mobilità introdotto con 3G si è veramente diffuso solo con 4G. Applicando questa teoria al caso attuale, i servizi cloud, edge-cloud, lo slicing di rete, la softwarizzazione della rete, l’IA, introdotti con 5G si diffonderanno pienamente con 6G. Un altro modo di dirlo è che la killer application di 5G sarà 6G nel senso che 5G prepara il terreno a 6G, che naturalmente aggiungerà altro. Ora, nel caso nostro, la previsione è eccessiva perché 5G si consoliderà prima dell’avvento di 6G, ma vale la pena riflettere sulle motivazioni dell’andamento a coppie delle generazioni cellulari.

Key4biz. Quindi, sarà necessario aspettare il 6G perché si sviluppi il 5G?

Blefari Melazzi.  No. Allora distinguiamo: come ampiamente ripetuto, 5G ha due aspetti di interesse: il primo, evolutivo, riguarda un miglioramento delle prestazioni, cioè aumento del ritmo di trasmissione, della densità di terminali per area geografica, dell’efficienza energetica e la diminuzione della latenza; il secondo, rivoluzionario, riguarda la softwarizzazione della rete, i servizi cloud/edge cloud, il supporto di IoT e di nuove applicazioni.

Per quanto riguarda il primo, ci siamo; la rete 5G implementata, cioè la parte radio di 5G, sta già esercitando il suo importantissimo ruolo, supportando una maggiore densità di utenti e offrendo a ognuno di questi migliori prestazioni di trasferimento: basta guardare la crescita impressionante del traffico, sia per dispositivo che complessiva, documentata in diversi rapporti tecnici.

Per quanto riguarda il secondo aspetto, ancora non ci siamo e quindi per adesso ciò che abbiamo è una rete 4G più veloce, ma senza le nuove caratteristiche di 5G.

Key4biz. Però l’aumento del traffico è un segnale positivo?

Blefari Melazzi. Certamente, mostra che la parte radio sta facendo il suo lavoro; però, mentre il traffico aumenta, i costi di connessione in funzione del traffico diminuiscono. Questo è sia bene che male. Bene per i consumatori e per rendere sostenibili nuove applicazioni con video a più alta definizione, ologrammi, realtà virtuale, applicazioni di IA etc., che richiedono elevati ritmi di trasmissione e lo scambio di grandi quantità di dati: queste nuove applicazioni sarebbero insostenibili senza una diminuzione dei costi per bit trasmesso. È invece male per chi deve fare investimenti e costruire infrastrutture. Questo fenomeno, insieme alla diminuzione di quote del mercato globale e di ricavi degli operatori tradizionali, anche a causa della forte competizione, pone a rischio gli investimenti o probabilmente sposterà ancora di più gli equilibri verso i cosiddetti hyperscaler (i grandi fornitori di contenuti e di applicazioni, ma anche sempre più di cloud e connettività) e verso altri soggetti, che potranno investire anche in infrastrutture.

Key4biz. Quindi, che cosa ci si può aspettare? Il 5G è un flop? Tutto quello di cui si è parlato in questi anni è ancora realizzabile oppure no?

Blefari Melazzi.  No, assolutamente, non è un flop. Le prestazioni radio sono già molto migliorate, le altre funzionalità verranno. Le altre generazioni ci hanno messo 20 anni a realizzarsi. Il 5G ci metterà di meno, ma bisogna realizzare a pieno la rete, non solo la parte radio, serve avere nuovi terminali e poi arriveranno nuovi servizi e nuove applicazioni. Anche su questo sta lavorando il progetto “RESTART”, importante iniziativa finanziata con 116M€ dal PNRR e che vede coinvolti oltre a università ed enti di ricerca diverse industrie del settore.

Key4biz. Per quanto riguarda i Verticals per l’industria, di cui ora è tornato a parlare anche il sottosegretario al Digitale Alessio Butti?

Blefari Melazzi. È fondamentale parlarne perché è da lì, dalle applicazioni industriali (industriali in senso lato, ad esempio gli ospedali sono un ambiente in cui 5G può offrire moltissimo) che deve arrivare la spinta per creare nuove applicazioni e nuovi servizi. Ricordiamo quanto avvenuto con 3G che forniva già trasporto dati quando ancora non c’erano le app. Il 3G è rimasto quasi fermo. Poi sono arrivate le app e il 4G è esploso. Quindi, devono arrivare le app per il 5G, previa la piena realizzazione della rete a cui facevo riferimento prima.

Key4biz. La crisi della industry delle Tlc può incidere negativamente sullo sviluppo delle nuove app e dei Verticals?

Blefari Melazzi. Sì, perché sta rallentando la realizzazione della rete 5G stand alone. Gli operatori non sembrano avere le disponibilità finanziarie per farlo; d’altra parte, 5G non può generare nuovi introiti, se non è pienamente implementato, e quindi abbiamo un circolo vizioso, che bisogna rompere. Però se le nuove funzionalità non saranno implementate dagli operatori ci penseranno probabilmente altri attori: gli hyperscaler o le municipalità o le utilities o altri investitori.

La questione è sistemica. Il problema serio per gli operatori non sono i limiti elettromagnetici o l’aumento dei costi energetici, ma gli attuali business model e la grande forza degli hyperscaler, che hanno raggiunto quote di mercato e dimensioni impressionanti, grazie a condizioni generali che li hanno favoriti molto in passato. Per quanto riguarda i limiti elettromagnetici, ricordiamo ancora una volta che possiamo anche tenerli bassi aumentando il numero di antenne (stazioni base), per altro con effetti molto benefici sulla capacità di rete. Mettere più antenne ha solo effetti positivi, se non fosse però per i costi. Nei luoghi ad alta densità di utenti questa è poi una scelta obbligata per soddisfare le esigenze di tutti. Non alzare i limiti determina si un aumento dei costi, così come i costi aumentano a causa dell’attuale situazione del mercato dell’energia. Però questi due fattori aumentano le difficoltà, ma non sono la motivazione principale dell’attuale situazione di crisi degli operatori, dovuta a forte competizione, cambi di business model, e in generale a una evoluzione del ruolo degli stakeholder del settore.

Il traffico e la complessiva catena del valore di Internet continuano infatti ad aumentare del 15% l’anno; la digitalizzazione continua a portare on line attività che erano off line.

Però questa crescita avviene insieme a un cambiamento delle quote di mercato degli attori del settore, che vedono i fornitori di connettività ridurre il loro peso in termini di ricavi. In quest’ottica, nemmeno la completa realizzazione di 5G potrebbe essere risolutiva di questa situazione di crisi.

Inoltre, i servizi e le applicazioni tendono a raggrupparsi e concentrarsi in ecosistemi paralleli, governati da un ristretto numero di hyperscaler, il che sta portando a una fratturazione di Internet, con profonde modificazioni anche della sua struttura e con aumento dei rischi di accumulo di potere e poi di limitazione dell’innovazione e della ricerca aperta. L’Internet come la conoscevamo sta scomparendo, ma questa è un’altra storia.

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