La corsa sfrenata verso l’internet economy e la storica bolla dot-com
Il 24 marzo 2000, l’indice S&P 500 raggiunse un record storico, quasi triplicando i valori. Tre giorni dopo, anche il Nasdaq 100 toccò il suo massimo (+718%). Sembrava l’apice di una rivoluzione digitale iniziata cinque anni prima, con la spettacolare IPO di Netscape Communications nell’agosto 1995.
Sembrava che internet poteva cambiato tutto. E, in effetti, lo stava facendo — ma non nel modo lineare e rapido che in molti avevano sperato. Sembrava l’inizio di una nuova era di profitti facili.
Ma si trattava, in realtà, dell’inizio della fine: nei mesi successivi, il mercato tecnologico statunitense crollò rovinosamente. Come hanno ricordato Jeran Wittenstein, Ryan Vlastelica e Carmen Reinicke, con l’aiuto di Tom Contiliano, in un lungo articolo su Bloomberg, era la fine della bolla delle dot-com.
Tra il 1995 e il 2000, il boom fu alimentato da IPO di aziende appena nate, spesso senza un modello di business sostenibile. Bastava aggiungere “.com” al nome per ottenere milioni in finanziamenti. Pets.com, Webvan, e molte altre startup promettevano una nuova era di commercio elettronico, ma bruciavano denaro a un ritmo vertiginoso. Amazon stessa era ancora in perdita nel 2000.
La caduta: -80% per il Nasdaq. Le cause strutturali
Nel marzo 2000, l’euforia lasciò il posto al panico. Nel giro di 30 mesi, oltre l’80% del valore del Nasdaq era svanito, mentre l’S&P 500 si dimezzava. Aziende come Inktomi, Nextel, e PeopleSoft crollarono. AOL, che aveva acquisito Time Warner proprio all’apice del boom, divenne il simbolo del disastro. L’unione tra i due colossi si rivelò un fiasco: le azioni affondarono e la fusione venne smantellata nel 2009.
Diverse dinamiche macroeconomiche contribuirono alla crisi, hanno spiegato gli autori della pubblicazione. La Federal Reserve iniziò ad alzare i tassi d’interesse per raffreddare i mercati. Nel frattempo, il Giappone scivolava in recessione, sollevando timori di rallentamento globale. Gli investitori, fin lì accecati dai guadagni facili, iniziarono a interrogarsi sulla sostenibilità di aziende senza utili.
Steve Case, ex CEO di AOL, ammetterà più tardi: “L’idea di internet era giusta, ma molti investimenti non lo erano”. Jim Grant, storico osservatore dei mercati, fu ancora più netto: “Pagare 10 volte i ricavi per Sun Microsystems e perdere il 95% del capitale? No, non era la scelta giusta.”
Nel 1999 il Nasdaq Composite raggiunse un P/E (rapporto prezzo/utili) di circa 90, ma molte aziende erano in perdita, quindi si cercarono nuovi indicatori: “eyeballs”, “mouse clicks”, “tempo di permanenza”. Era una corsa all’oro digitale dove il denaro serviva più a finanziare sogni che generare profitti.
Lezione di lungo termine
Il paradosso è che l’intuizione di fondo era corretta: internet ha davvero trasformato ogni aspetto della vita moderna. Ma chi aveva investito nel momento sbagliato pagò caro l’anticipo sui tempi. Chi sopravvisse — come Amazon, Apple, Microsoft — ha costruito imperi. Ma per ogni vincitore, ci furono decine se non centinaia di sconfitti.
A distanza di 25 anni, si legge nell’articolo, molti vedono analogie con l’attuale boom dell’intelligenza artificiale. Le big tech stanno investendo cifre colossali: solo nel 2024, Alphabet, Amazon, Meta e Microsoft potrebbero aver sperso oltre 300 miliardi di dollari in AI. Generando, nello stesso tempo, 234 miliardi di free cash flow.
Ma l’euforia odierna è diversa. Le aziende leader sono solide, redditizie e mature. Eppure, come ricorda Vinod Khosla, pioniere sia della rivoluzione internet che di quella AI: “Siamo passati dalla paura all’avidità. E quando arriva l’avidità, i valori diventano indiscriminati.”
L’incertezza dell’innovazione: non è mai una corsa, più una maratona
Se la storia insegna qualcosa, è che le vere rivoluzioni tecnologiche richiedono tempo. Gli effetti economici arrivano dopo le fasi speculative. Come osserva Julie Wainwright, ex CEO di Pets.com: “Tutta l’innovazione è arrivata da piccole aziende. Forse sta accadendo di nuovo.”
L’intelligenza artificiale sarà forse la più grande trasformazione tecnologica degli ultimi decenni. Ma come nel 2000, anche oggi l’entusiasmo può diventare una trappola.
La storia delle dot-com ci ricorda che l’innovazione vera non è una corsa, ma una maratona. E che anche le idee giuste, nel momento sbagliato, possono portare a enormi perdite.