Tutti d’accordo nel tassare i giganti del web, ma non c’è ancora un consenso sulla modalità univoca per farlo. Per questo l’accordo raggiunto dai ministri delle Finanze al G20 in Giappone è solo un passo avanti di una telenovela che va avanti da anni senza l’approvazione di una web tax né a livello europeo né a livello Ocse.
La convergenza, seppur vaga, trovata al G20 è la necessità di tassare i giganti del web, Google, Apple, Facebook, Amazon (GAFA), e altre multinazionali digitali non più sulla presenza fisica, dove si trovano i loro uffici, ma in base a dove registrano le loro entrate. Il G20 si è impegnato a “raddoppiare” entro la fine del prossimo anno gli impegni per arrivare all’obiettivo con una soluzione ‘basata sul consenso’.
“Dobbiamo sbrigarci”, ha spinto il ministro francese, Bruno Le Maire, esortando a “trovare un compromesso entro la fine di quest’anno”.
Il segretario generale dell’Ocse, Angel Gurria, ha celebrato i “progressi significativi”: già 129 Paesi hanno adottato una roadmap, con l’obiettivo di arrivare a un accordo di lungo periodo “entro il 2020”. E’ importare avere un approccio globale mentre bisogna evitare il rischio di una “cacofonia” di posizioni e di “una corsa al ribasso”, ha sottolineato Gurria.
Rimangono comunque forti divergenze sull’esecuzione. “Non potrei essere più d’accordo sul muoversi in fretta, ma si tratta di questioni complicate”, ha obiettato il segretario al Tesoro americano, Steven Mnuchin, preoccupato di non “discriminare” il settore tecnologico. Anche per questo si è espresso in disaccordo con la decisione di Francia e Gran Bretagna di imporre unilateralmente una tassa sui giganti del web. Le Maire ha assicurato che Parigi ritirerà le proprie misure fiscali non appena sarà trovata una soluzione internazionale.
L’idea è di tassare i GAFA e altre multinazionali digitali non più sulla base della sede legale, ma del luogo dove è registrato il loro fatturato riprende lo schema portante della web tax che l’Italia ha votato con la legge di Bilancio 2019, ma non ancora attuata perché mancano i decreti attuativi (forse proprio in attesa di Fmi, Ocse ed Ecofin) e prevede un prelievo del 3% alle imprese con ricavi ovunque realizzati non inferiori a 750 milioni e ricavi derivanti da servizi digitali non inferiori a 5,5 milioni.
Ma nel decreto Crescita, che deve essere approvato entro la fine di questo mese, è stato inserito un nuovo articolo (il 13) dedicato alla web tax, nello specifico riguarda la “vendita di beni tramite piattaforme digitali”: gli emendamenti presentati da Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia spingono nel definire con più precisione consa si intende per “servizi digitali” per differenziare meglio le imprese che operano nel settore. L’idea è quella di escludere dai semplici “serivizi digitali” i contenuti digitali originali prodotti da aziende editoriali, per esempio e di non applicare la digital tax a imprese che hanno già una presenza tassata, un’organizzazione stabile e ricavi, prevalentemente, in Italia. Nei prossimi giorni gli emendamenti saranno in votazione in Commissione Bilancio alla Camera e poi il testo del decreto Crescita sarà in Aula per essere votato entro la fine del mese. Staremo a vedere in quale altra versione sarà formulata la web tax all’italiana, ormai celebre per essere una legge solo su carta. Era stata approvata anche nella legge di Bilancio 2018…