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Vivendi, quale progetto industriale dopo lo spin off di Universal Music?

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Vivendi è attesa alla prova di un nuovo piano industriale, dopo l'annuncio della quotazione di Universal Music, la vera gallina dalle uova d’oro del gruppo.

L’annuncio dello sbarco in borsa di Universal Music Group (UMG) segna il cambio di un’epoca in casa Vivendi. Il gigante francese dei media dovrà affrontare il futuro senza la sua potente locomotiva, puntando sullo sviluppo e il consolidamento delle sue altre attività che oggi sono meno profittevoli. Lo scrive oggi La Tribune, in un’analisi critica che disegna lo scenario futuro di Vivendi dopo la ‘scorpacciata’ in arrivo con lo sbarco in borsa di Universal Music. 

L’annuncio della IPO

Vivendi intende esaminare il dossier della quotazione sul mercato Euronext entro la fine dell’anno dopo il parere degli azionisti all’assemblea straordinaria convocata per il prossimo 29 marzo (il comunicato di Vivendi del 13 febbraio)

Vivendi ha aperto “alla possibilità di una distribuzione del 60% del capitale di Universal”. Alla notizia il titolo è andato alle stelle, guadagnando fino al 20% in Borsa.

“Questa distribuzione assumerebbe la forma di una distribuzione eccezionale (“dividendo speciale”). La quotazione delle azioni di UMG, holding attualmente in corso di costituzione nei Paesi Bassi, verrebbe richiesta sul mercato regolamentato di Euronext NV ad Amsterdam, in un paese che è stato una delle sedi storiche di UMG”, ha dichiarato il gruppo francese, che “proporrà anche un dividendo ordinario di 0,60 euro per azione per l’esercizio 2020”.

Il valore di Universal Music Group e la scalata di Tencent

Il gruppo di Bolloré ha tenuto a precisare “che l’obiettivo minimo per l’enterprise value di Umg è stato fissato a 30 miliardi di euro” e di aver provveduto – proprio sulla base di questo prezzo – alla cessione del 10% delle quote (quindi 3 miliardi) a un consorzio guidato dal gruppo cinese Tencent, che adesso detiene il 20% dell’etichetta discografica, avendo sborsato complessivamente 6 miliardi, e da cui ha ricevuto il via libera all’Ipo.

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A marzo 2020, Vivendi e il gruppo che controlla TikTok (in consorzio con altri investitori) avevano firmato un accordo che prevedeva l’acquisto del 10% delle quote di Umg, con la possibilità di esercitare – come è realmente successo a dicembre – il suo diritto di formalizzare l’acquisto di un ulteriore 10%.

Vivendi perderà il controllo di UMG

Al termine dell’operazione, il Gruppo Bolloré, che detiene il 27% di Vivendi, possiederà il 16% di Universal Music. La partecipazione del Gruppo Bolloré peserà circa 5 miliardi— Vivendi, dal canto suo, conserverà il 20% di UMG, ma ne perderà largamente il controllo. E non sarà cosa da poco, scrive la Tribune.

Fino ad ora, Universal Music Group è stata la locomotiva, la figura di punta e di gran lunga il motore principale dei ricavi di Vivendi. Il boom della musica in streaming ha permesso in questi ultimi anni a questa filiale di Vivendi di prosperare, ben davanti alle altre attività della conglomerata nei media (con il Gruppo Canal+), la comunicazione (con Havas), l’editoria (con Edits) o ancora con i video giochi (con Gameloft). Oggi UMG domina il mercato musicale mondiale insieme alla giapponese Sony e all’americana Warner. Di tutte le gamme di “contenuto” di Vivendi, era il gioiello. Vincent Bolloré lo ha sempre considerato tale.

“Il primo contenuto al mondo è la musica”, ha dichiarato nel giugno 2016, durante un’audizione in Senato. “Con Universal Music, siamo fortunati ad avere il numero uno al mondo che rappresenta il 40% della musica nel mondo: i Beatles, i Rolling Stones, gli U2, i Beach Boys, Rihanna, Cathy Perry, Justin Bieber e molti altri artisti appartengono 100% a questo gruppo francese. “

Nella stessa udienza ha anche sottolineato che “la politica di Vivendi” consisteva nello “sviluppare contenuti, primo fra tutti la musica”. “Abbiamo la fortuna di poter contare sul numero uno al mondo in questo settore“, ha aggiunto.

E ora?

“Una vera sfida per ricostruire un progetto attraente”. D’ora in poi Vivendi dovrà quindi fare a meno del suo “numero uno al mondo”. Universal Music alla fine non dovrebbe più essere controllata da un gruppo francese. Alcuni se ne pentiranno. Ma un’operazione sul capitale di UMG era attesa da tempo dagli azionisti, e lo scorporo ha senso in quanto le sinergie con le altre attività del gruppo erano molto limitate ”, osserva Thomas Coudry, analista di Bryan Garnier citato da la Tribune.

Se da un lato la quotazione di UMG è un’operazione finanziaria che arricchirà profumatamente gli azionisti, il gigante dei media dovrà ora dimostrare la sua rilevanza industriale e la sua capacità di sviluppare le sue altre attività. “Ora c’è una vera sfida per ricostruire un progetto attraente all’interno di Vivendi senza Universal”, sottolinea Thomas Coudry.

Vivendi parte da un’ampia base finanziaria e i mercati esamineranno attentamente le sue prossime acquisizioni. Sui media, il gruppo guidato da Vincent Bolloré potrebbe interessarsi anche al gruppo M6, attualmente in vendita. Nell’editoria Vivendi, proprietaria di Editis, numero due del settore, potrebbe puntare sulla numero uno Hachette, che appartiene al gruppo Lagardère. “Resta il fatto che fino ad ora Vivendi ha brillato più per i suoi colpi finanziari che per la sua capacità di dare forma a un vero progetto industriale”, scrive la Tribune.

Torna di moda la Netflix europea?

Il gruppo ha da tempo sogna di costruire una “Netflix dell’Europa del Sud”. Ma, ricorda il quotidiano francese, non è riuscita a consolidare le sue posizioni in Italia, con TIM e con il campione della pay tv Mediaset. Nei videogiochi è difficile vedere molto chiaramente. Nel 2015, due anni dopo aver venduto la sua partecipazione in Activision Blizzard, il numero uno al mondo nel settore, Vivendi ha lanciato un attacco ai campioni di Francia Ubisoft e Gameloft. Ha conquistato il secondo, specializzato in giochi mobili, ma ha gettato la spugna sul primo, intascando, nel frattempo, una grande plusvalenza di 1,2 miliardi di euro. Per quanto riguarda l’acquisizione di Havas nel 2017, l’operazione sembra, per molti, essere più patrimoniale che altro, dal momento che il gigante della comunicazione era appartenuto fino ad allora al Gruppo Bolloré.

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