Cento anni fa circa, nel 1920, Gaston Ramon, veterinario dell’Istituto Pasteur di Parigi, aveva notato che i cavalli a cui veniva somministrato il vaccino contro la difterite manifestavano una reazione immunitaria più vivace se accompagnato da una maggiore infiammazione del punto in cui si faceva l’iniezione.
In poche parole, quei cavalli che presentavano brutti ascessi dopo la puntura erano anche quelli che meglio rispondevano dal punto di vista immunitario alla malattia.
Nasce da qui l’idea di integrare nel vaccino il maggior numero possibile di sostanze con un’elevata capacità di infiammazione, come le emulsioni a base di olio, il pan grattato e altre ancora, che leggenda vuole il veterinario francese semplicemente trovò in cucina.
Gli adiuvanti
Queste sostanze presero il nome di adiuvanti, dal latino “adjuvare” (aiutare), cioè avevano il compito di aiutare a far emergere la risposta immunitaria nei pazienti.
Attraverso la vaccinazione si vuole mimare il più possibile l’infezione naturale e proteggere da futuri incontri con agenti patogeni. Le dosi un tempo venivano preparate a partire direttamente dal virus intero che si voleva combattere, che prima di venire utilizzato per il preparato veniva ucciso o disattivato.
Tuttavia, si legge sul sito dell’Istituto superiore di sanità (Iss), i vaccini non possono contenere l’agente patogeno come tale, e sono quindi basati o su molecole da esso derivate (come ad esempio le proteine) oppure su microorganismi simili, ma meno virulenti, oppure su microorganismi uccisi, collettivamente chiamati “antigeni”.
Tali antigeni vaccinali, però, non sono in grado di stimolare una risposta immunitaria efficiente, come accade nel corso dell’infezione naturale, e per questo motivo necessitano di adiuvanti.
Uno stravagante buffet di ingredienti
Prendendo i primi adiuvanti della storia, viene subito in mente una cucina: tapioca, amico, lecitina (emulsione di olio comune nel cioccolato), pangrattato e molto altro ancora.
Tutti questi ingredienti avevano una cosa in comune agli occhi di Ramon: aiutavano i pazienti a stimolare il sistema immunitario, producendo molti più anticorpi che se non fossero stati somministrati.
L’adiuvante più utilizzato in assoluto è stato l’allumino, soprattutto nei vaccini contro la difterite, il tetano, la pertosse, l’epatite A e B, l’HPV, l’encefalite giapponese, la meningite B, l’antrace, lo pneumococco.
Altre sostanze ancora sono olio di fegato di squalo e specifici estratti dalla corteccia dell’albero di Quillaja (che si trova sulle Ande cilene).
Considerando che non possiamo sterminare l’intera popolazione di squali che popola gli oceani (siamo 8 miliardi di esseri umani e per fare centinaia di milioni di dosi di vaccini vari rischiamo seriamente di far estinguere lo squalo), gli scienziati stanno cercando altre strade per ampliare gli adiuvanti a nostra disposizione.
Alcune di queste sostanze nuove sono decisamente particolari: scheletri di batteri o frammenti di parete cellulare del batterio; code di batteri o flagelline; saponine; altre emulsioni (tra cui alcune a base di petrolio); vescicole di membrane fosfolipidiche; citochine; nanoparticelle.
Quanto sono sicuri?
Lo sviluppo e la maggiore diffusione di nuovi programmi di vaccinazione hanno portato ad un aumento di domande riguardo la sicurezza degli adiuvanti.
Le reazioni avverse locali e/o sistemiche osservate in seguito alla somministrazione di un vaccino adiuvato potrebbero essere infatti legate al meccanismo d’azione degli adiuvanti di iperattivazione immunologica spesso mediata dal rilascio di citochine pro-infiammatorie.
I risultati complessivi, si legge sulla Rivista di immunologia e allergologia pediatrica, confermano che, a parte i noti effetti locali del vaccino contenente adiuvanti e quelli generali, lievi e transitori, non vi sono prove che permettano di evidenziare in maniera robusta alcuna relazione causale con malattie o disturbi degenerativi autoimmuni o cronici.
Altri studi scientifici, invece, come ricordato dall’Associazione di studi e informazioni sulla salute (Assis), ci vanno molto più cauti, perché alcune sostanze adiuvanti, come la citochina IL-2, possono in alcuni soggetti produrre malattie autoimmuni, mentre alcune saponine IV possono provocare emolisi (distruzione dei globuli rossi).
Nel 2011 è stata tratteggiata una nuova sindrome denominata “ASIA- Sindrome infiammatoria autoimmune indotta da adiuvanti” (studio pubblicato nel 2013 sul prestigioso Journal of Autoimmunity), per raggruppare per la prima volta uno spettro di malattie immuno-mediate attivate da uno stimolo da adiuvanti, tra cui l’esposizione cronica al silicone, al tetramethylpentadecane, al pristano, all’alluminio e altri adiuvanti, nonché componenti infettive, che possono anche avere un effetto adiuvante .
Stravaganze (e possibili rischi) a parte, gli adiuvanti servono perlopiù ad aiutare il nostro organismo, soprattutto nelle persone anziane, a stimolare maggiormente il sistema immunitario contro l’agente patogeno.
Essi agiscono come sirene d’allarme per tutto il sistema immunitario dell’essere umano, favorendo una risposta più forte e duratura alla malattia e facendo in modo che il vaccino sia più efficace.