La elegante Sala “Zuccari” di Palazzo Giustiniani ha accolto questa mattina un convegno che si attendeva da più parti, ovvero che finalmente un partito (quale che fosse!) dedicasse una qualche seria attenzione alla Rai: in effetti, non si ha memoria, da un anno e forse due di una iniziativa una, promossa da un partito politico, di riflessione accurata e plurale sul sistema radiotelevisivo pubblico. La tematica Rai non sembra essere di particolare priorità, nelle agende dei partiti e finanche degli ultimi governi.
In verità, abbiamo compreso che non si è trattato dell’iniziativa di “un partito” (nel caso in ispecie, del Movimento 5 Stelle), bensì di “un senatore della Repubblica” (ed in effetti nel programma era specificato con onestà “su iniziativa di”), ovvero di Primo Di Nicola, esponente del M5S nonché Vice Presidente della Commissione di Vigilanza sulla Rai. Questa dinamica “uti singuli” si spiega anche alla luce del crescente policentrismo che caratterizza l’attuale fase di effervescenza del Movimento (mercoledì sera c’è stata una riunione del gruppo dei dissenzienti / dissidenti, capeggiati da due senatori della Commissione Antimafia, Nicola Morra e Mario Giarrusso, che stanno chiedendo al Capo Politico del Movimento Luigi Di Maio di fare un passo indietro, anzi due…).
Già il titolo del convegno ha suscitato una qualche perplessità, per… l’assenza di un punto interrogativo: “Una nuova Rai è possibile. Riforma della governance per un’azienda indipendente”.
In sostanza, una “nuova Rai” è… veramente possibile?!
Altri ha notato – nel titolo del convegno – che esiste una qual certa contraddizione tra “riforma della governance” ed “azienda indipendente”, dato che una impresa realmente indipendente la “governance” se la dovrebbe auto-regolare, facendo riferimento soltanto al codice civile e basta. Ma Rai, naturalmente, non è una “azienda” qualsiasi: è “servizio pubblico” ed è assimilata ormai da leggi e sentenze di ogni grado ad una “amministrazione pubblica”, con tutti i vincoli del caso (per esempio, obbligo di gare con procedure assai rigide).
Il disegno di legge del senatore Di Nicola
Il convegno ha rappresentato un’occasione per illustrare il disegno di legge che è stato annunciato il 15 luglio 2019 dal senatore Primo Di Nicola, che reca il titolo “Modifiche alla legge 31 luglio 1997, n. 249, e al testo unico di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, e altre disposizioni in materia di composizione dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, di organizzazione della società concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo e di vigilanza sullo svolgimento del medesimo servizio”. Si tratta del ddl n. S. 1415, che reca la firma – tra gli altri – di esponenti grillini appartenenti a più “anime” del Movimento, da Paola Taverna a Gianluigi Paragone, senza dimenticare Stefano Patuanelli, dal 5 settembre 2019 titolare del Ministero dello Sviluppo Economico. L’iter è ancora tutto da definire, in quanto la proposta risulta ancora “da assegnare”.
Si ricordi anche che a metà luglio è stata data notizia che due altri esponenti del M5S avevano presentato, rispettivamente alla Camera Maria Laura Paxia (Atto Camera n. 1983) ed al Senato Gianluigi Paragone (Atto Senato n. 1417), una proposta di legge che punta ad abolire il canone Rai, aumentando gli introiti attraverso la pubblicità, eliminando quindi il tetto pubblicitario. Piccolo dettaglio, ad oggi (8 novembre 2019), il testo di questa proposta “annunciata” non è ancora – incredibilmente – disponibile (come si ha conferma consultando il sito web della Camera dei Deputati e quello del Senato). Eppure, il 16 luglio, lo stesso Luigi Di Maio aveva dichiarato “come Movimento 5 Stelle presenteremo una proposta per ridurre drasticamente il canone Rai”. Proposta, a distanza di quasi quattro mesi (vedi “Key4biz” del 26 luglio 2019, “La proposta di legge del M5S per l’abolizione del canone Rai resta misteriosa, ma… viene rimandata a settembre”) che permane ancora… “secretata”! Si osserva un qual certo… policentrismo e confusione, nell’ambito del Movimento 5 Stelle.
Va rimarcato che la proposta di Nicola intende riformare il sistema della comunicazione radiotelevisiva e, il servizio pubblico, ripresentando “pedissequamente” (così recita la stessa relazione che accompagna il testo), le disposizioni contenute in una proposta di legge formulata, nella precedente legislatura, dall’onorevole Roberto Fico (Atto Camera n. 2922) e dal senatore Andrea Cioffi (Atto Senato n. 1855), successivamente ripresentata nell’attuale legislatura alla Camera dei Deputati dall’onorevole Mirella Liuzzi (A. C n. 1054).
Questa mattina a Palazzo Giustiniani, però, il Presidente della Camera Roberto Fico non si è fatto vedere, e si è limitato ad un messaggio di saluto piuttosto rituale, nel quale ha enfatizzato che non basta una “riforma per legge” della Rai, ma serve “un cambio di paradigma culturale”. E la deputata Mirella Liuzzi, Sottosegretaria al Mise ma ancora senza deleghe (però candidata, insieme a Gian Paolo Manzella, alla delega per tlc e quindi Rai), ha assistito al convegno, in prima fila, ma senza intervenire.
Battute a parte, abbiamo assistito ad una serie di interventi, più o meno alti, più o meno stimolanti, ma certamente non innovativi, a partire dall’ex Sottosegretario Antonello Giacomelli ed attuale senatore del Pd (e – secondo alcuni – tra i più papabili candidati “in pectore” alla presidenza dell’Autorità per Garanzie nelle Comunicazioni) e dall’attuale Presidente della Commissione Bicamerale di Vigilanza Alberto Barachini (Forza Italia). Il primo animato da curiosa “vis” riformatrice (anche rispetto alla legge di riforma della Rai firmata Matteo Renzi), il secondo molto prudente (soprattutto rispetto all’idea di abolire la Commissione di Vigilanza, come prospettato da alcuni esponenti grillini).
Un altro convegno ancora, delle decine forse centinaia cui ha partecipato – ha ricordato lui stesso – Giovanni Valentini (prestigioso giornalista, attualmente editorialista de “il Fatto”, e da sempre appassionato alle tematiche del servizio pubblico), che ha moderato con lucidità ed equilibrio il convegno di questa mattina?
Strane assenze: Italia Viva e Leu
Temiamo di sì, anche perché questa auspicata “unità di intenti” nel riformare la Rai – che si traduce nell’esigenza anzitutto di riformare la riforma (alias la legge Renzi) – non sembra proprio condivisa da tutte le espressioni della attuale maggioranza: in effetti, erano annunciati in programma, ma son stati assenti (ingiustificati), Davide Faraone, che avrebbe dovuto rappresentare Italia Viva, e Federico Fornaro per Liberi e Uguali… Strane assenze, forse sintomatiche anche di quella fibrillazione che caratterizza l’Esecutivo, tra aggravata crisi dell’Ilva e legge finanziaria in gestazione. E la Rai non rappresenta certo, ancora una volta, “una priorità”.
La proposta di Primo Di Nicola prevede – in estrema sintesi – la nomina di un Cda Rai ridotto a 5 membri (incluso Presidente ed Ad) affidata all’Agcom, con una composizione “bipartita”: 3 consiglieri provenienti dai settori dell’audiovisivo e delle reti di comunicazione elettronica, di cui 2 con competenze giuridico-economiche ed 1 componente con competenze tecnico-scientifiche; 2 consiglieri provenienti dal mondo degli autori, dei capi-progetto e degli ideatori di programmi radiotelevisivi. La procedura ha carattere pubblico, con evidenza dei curricula ed obbligo dei candidati a trasmettere un documento con la propria “vision” delle funzioni e missioni della Rai. Punto caratterizzante, ed eterodosso, è che la nomina del Cda avverrebbe “per sorteggio” (!) da parte di Agcom. La questione è delicata e merita approfondimenti, e ci torneremo su queste colonne… Da segnalare che uno dei punti qualificanti della proposta di Di Nicola è appunto anche la soppressione della Commissione di Vigilanza.
Primo Di Nicola si è vantato di essere riuscito a far arrivare in porto la sua proposta di legge contro le liti temerarie, con modalità “no partisan”, ed ha auspicato di poter raggiungere anche rispetto a Rai un risultato simile. Confida che si possa “fare una sintesi in sede parlamentare” delle varie proposte in materia di Rai, “in modo che l’iter di approvazione proceda spedito”. Si condivide l’auspicio, ma si nutrono molti dubbi, data la “fase politica” in atto.
Di Nicola ha ricordato che “la Rai è un’azienda culturale, giornalistica, inserita in un sistema di informazione come quello italiano, dominato da conflitti di interesse che ne possono minare la credibilità a causa delle commistioni politiche ed economiche. Non è un mistero che parte dell’editoria risulti essere in mano a soggetti che hanno interessi prevalenti in altri settori e che usano giornali e tv non per servire in maniera esclusiva l’interesse dei lettori e degli spettatori ma per creare consenso intorno al loro business”. E si ricordi che uno dei punti del “contratto” ovvero dell’accordo che ha portato all’attuale maggioranza di governo è giustappunto la chance di una legge che superi i conflitti d’interesse, assieme alla riforma del sistema radiotelevisivo (riforma non soltanto della Rai, ma dell’intero sistema).
Antonello Giacomelli non si è espresso, nel merito della proposta Di Nicola.
Il Presidente della Vigilanza Rai contro l’abolizione della Vigilanza ed una curiosa ricerca Tecné
Il Presidente della Vigilanza Alberto Barachini ha invece ricordato che il ddl a prima firma del senatore Di Nicola prefigura di sopprimere la Vigilanza, attribuendo alcune delle sue funzioni all’Agcom nonché, in parte, alle Commissioni parlamentari permanenti competenti nella materia delle Telecomunicazioni: “si legge nella relazione al citato ddl che la Commissione di Vigilanza sarebbe, testualmente, ‘l’anticamera dell’indebita influenza del servizio pubblico radiotelevisivo’ nonché ‘il luogo fisico e simbolico attraverso cui i partiti politici hanno trasformato la Rai da strumento della collettività a territorio da spartire e subordinare ai propri interessi’. Vorrei chiarire subito che io non sono qui a difendere il mio ruolo personale, ma piuttosto a difendere il ruolo dell’istituzione che mi onoro di presiedere. Molti ritengono infatti che, per cambiare lo stato delle cose, sia necessario e sufficiente cambiare le regole. Così, per eliminare ogni ingerenza della politica nella Rai, sarebbe sufficiente modificare il modello di corporate governance, ovvero cambiare il modo di selezione degli amministratori o, ancora, sostituire l’organismo di vigilanza”. Secondo Barachini questa sarebbe “un’illusione, una pia illusione”.
Va segnalato che il Presidente Barachini ha accompagnato la propria relazione con alcune slide di una ricerca sul servizio pubblico curata da Tecné “in esclusiva” per la Vigilanza, che è sembrata quasi volersi porre come una sorta di contraltare del mitico e più volte contestato Qualitel, che tanti danari assorbe da Rai senza produrre risultati granché concreti e convincenti. Abbiamo chiesto alla presidenza della Vigilanza copia della ricerca, ma ci è stato comunicato che non è possibile divulgarla: curiosa dinamica, anche questa, ci sia consentito. Secondo questa ricerca, il 73 % degli intervistati dichiara di ritenere “necessaria e opportuna una disciplina interna all’azienda Rai che regolamenti l’uso dei social network”; il 71 % reputa che, se un dipendente o collaboratore Rai, attraverso i social network personali, usa frasi o giudizi lesivi di una persona o di una istituzione, dovrebbe risponderne anche dal punto di vista professionale, perché rischia di danneggiare l’immagine dell’azienda. Più interessanti alcune questioni: la Rai viene percepita come un’emittente soltanto sufficientemente autorevole ed attendibile dal punto di vista dell’informazione (tg e approfondimenti): il 57 % degli intervistati assegna infatti un punteggio tra il 6 e il 7 all’informazione della Rai, il 17,6 % tra l’8 e il 10, mentre il 23 % attribuisce un punteggio insufficiente. Secondo questo sondaggio, il campione intervistato assegna alla Rai “la sufficienza” in relazione al rispetto dei principi di completezza, pluralismo, imparzialità e indipendenza. In particolare: per i Tg, la media di voto è 6,1; per l’approfondimento 5,9. Anche l’impegno profuso dall’azienda nel rispetto di questi principi è giudicato in media “sufficiente” (6). Commenta Barachini: questi dati “non possono essere ritenuti soddisfacenti; non è concepibile che il servizio pubblico radiotelevisivo si accontenti della sufficienza”.
L’Ad Rai Salini: che tutto il canone vada alla Rai
Forte e chiaro il grido di lamentazione dell’Amministratore Delegato Fabrizio Salini (sempre pacato nei toni e fiero sostenitore della forza e bontà della Rai), che ha sostenuto che “il nostro canone è il più basso di altri Paesi, la Rai è quasi riuscita ad azzerare l’evasione grazie all’inserimento del canone in bolletta, eppure come introiti siamo ai livelli del 2013, quando l’evasione era al 30 %”. E si è domandato (retoricamente): “com’è possibile tutto questo? Prima di tutto per la riduzione dell’importo a 90 euro, ed alla Rai sono stati tolti 100 milioni da extra-gettito, ed un 5% forfettario”. Ha precisato, a chiare lettere: “all’azienda pubblica arriva 1 euro su 2 di quelli recuperati dall’evasione. Non chiedo assolutamente un aumento del canone e sarei felice di essere messo nelle condizioni di farlo ulteriormente scendere. Vorrei alla Rai fosse dato quello che è della Rai”, anche, ha ricordato “di 90 euro, ce ne arrivano solo 74…”.
Le tesi di Salini sono assolutamente condivisibili, ed Antonello Giacomelli ha dichiarato la propria assoluta disponibilità (e, quindi – si ha ragione di ritenere – del Pd) a fare in modo che questa stortura, distorsione, sottrazione… venga eliminata, con un semplice “emendamento nella imminente Legge di Bilancio”, affinché “tutto il gettito del canone possa essere restituito alla Rai”. Viene da pensare: perché non ci ha pensato quando era Sottosegretario? Ma ben venga l’autocritica.
Ha provocato una qualche perplessità ascoltare l’ex Sottosegretario ri-evocare la famosa consultazione pubblica da lui promossa (“CambieRai”), che – a parer suo – mantiene ancora una sua validità ed attualità: sarà anche così, ma si deve osservare la “consultazione” fu oggetto di molte e variegate critiche (vedi “Key4biz” del 27 luglio 2016, “Consultazione Rai: perché i quesiti sono stati malposti?”), e si ha ragione di ritenere che assai poco di concreto andò a determinare realmente nella “convenzione” tra Stato e Rai allora in gestazione e nel successivo “contratto di servizio” tra Mise e Viale Mazzini.
Il Segretario dell’Usigrai Vittorio Di Trapani è parso il relatore più appassionato: ha rimarcato come purtroppo le “interferenze” della politica ci siano state sempre, e che si potrebbe addirittura quantificare “il costo dei partiti” nella gestione della Rai. I piani industriali-editoriali di Luigi Gubitosi e di Antonio Campo Dall’Orto e di Carlo Verdelli sono stati boicottati dalla politica. Ha contestato il rischio di “una via pauperistica al servizio pubblico”, sostenendo che il gettito del canone dovrebbe andare tutto a Viale Mazzini, anche perché esiste un nesso intimo tra “governance” e “risorse”. Ha ricordato che nei giorni scorsi (il 22 ottobre, per la precisione) Moody’s ha manifestato un “outlook negativo” per Rai, anche in funzione del rischio di deficit di risorse per affrontare in modo adeguato la sfida del mercato mediale prossimo futuro. Di Trapani ha anche denunciato una Rai costretta a subire “lo strapotere degli agenti e delle società di produzione”, e lamentato come Viale Mazzini sia ancora presieduta da Marcello Foa, eletto – secondo di Trapani – attraverso varie “forzature normative”.
Sono intervenuti, tra gli altri, anche Roberto Natale, titolare della struttura Responsabilità Sociale della Rai, che ha sostenuto che non esiste contraddizione interna, rispetto alla prospettiva di “una governance forte” a fronte di “una fondazione plurale” (ovvero un organismo indipendente che rappresenti al meglio le tante pluralità della società italiana), e Roberto Laganà, consigliere di amministrazione Rai (eletto dai dipendenti), che ha confermato l’esigenza assoluta di disporre di certezza di risorse per il futuro del gruppo, anzitutto dando alla Rai tutto il flusso del gettito del canone.
Paola Severini Melograni, autrice di “O anche no”: emarginazione nei palinsesti e miserie economiche della Rai
Voce in dissenso, pacata ed elegante, quella manifestata dalla platea, da Paola Severini Melograni, giornalista saggista ed autrice, che ha lamentato come la Rai si dichiari tanto sensibile rispetto alle tematiche sociali, ma poi le emargini dai palinsesti e costringa professionisti appassionati a lavorare in condizioni indegne: ha citato il proprio caso “personale”, ovvero il docu-reality che ha ideato, intitolato “O anche no”, trasmesso da Rai 2, interpretato da ragazzi portatori di handicap, “trasmesso nello slot della notte e senza soldi… per la prima volta nella mia vita, ho dovuto firmare un contratto come autrice dovendo rinunciare al compenso”. Questa voce, nel suo “piccolo”, è sintomatica di quanto sia distante la teoria dalla pratica, nella… “governance” della Rai!
Giovanni Valentini si è augurato che l’iniziativa odierna non rientri nella categoria dei convegni… “interessanti ma inconcludenti” che hanno caratterizzato, nel corso degli anni, la storia della politica culturale e mediale del nostro Paese. Ce lo auguriamo tutti, ma lo scenario politico complessivo non appare esattamente incoraggiante. E, in ogni caso, appare indispensabile una iniziativa di pubblico confronto che estenda lo spettro delle interlocuzioni, aprendosi soprattutto alla società civile, al terzo settore, alla cittadinanza tutta: i veri “stakeholder” della Rai.
Clicca qui, per leggere il disegno di legge n. S. 1415, primo firmatario il Senatore Primo Di Nicola, di riforma della Rai, annunciato il 15 luglio 2019.