Siamo nell’era dei social network e crescono quotidianamente le piattaforme online con l’intento di aggregare gente con mezzi virtuali. La “certificazione” di quest’era può essere sintetizzata valutando i numeri in costante crescita delle piattaforme più utilizzate. Ecco di seguito alcuni numeri:
- Facebook: nonostante la crescita esponenziale dei propri competitors resta, ad oggi, il social più diffuso al mondo con oltre 2,2 miliardi di utenti nel mondo di cui circa 36 milioni in Italia;
- Instagram: piattaforma social specializzata nelle diffusione di video e immagini conta su un’utenza globale che supera il miliardo di utenti di cui 28,8 milioni in Italia;
- Linkedin: strumento social specializzato nel settore lavoro, vanta in Italia 21,2 milioni di utenti;
- Tik Tok: il social made in china cresce a dismisura anche in Italia, avendo raggiunto circa 10 milioni di utenti.
I numeri indicati lasciano quindi immaginare come ormai, quasi ogni cittadino, utilizzi quotidianamente questi strumenti di larga diffusione per dare maggior voce ai propri pensieri e ai propri stati d’animo, sottovalutando le conseguenze negative a cui possono andare incontro in determinate ipotesi.
L’utilizzo dei social network, quindi, è sempre consapevole e nei limiti della legge? La risposta è no perché la percentuale di condanne per diffamazione tramite l’utilizzo dei social è in crescita costante. Già nel 2017 diversi operatori del mondo giuridico lanciavano l’allarme sull’incredibile aumento dei reati informatici, per il vuoto normativo e per l’elevata mole di cause per diffamazione presenti in tutti i tribunali d’Italia.
Diffamazione e social network
Ma oggi a che punto è la dottrina giuridica nella valutazione della diffamazione a mezzo social?
Il reato di diffamazione a mezzo social viene comunque valutato ai sensi del generico terzo comma dell’art. 595 c.p. che ritiene circostanza aggravante l’utilizzo di “qualsivoglia mezzo di pubblicità” e che può portare ad una condanna fino a tre anni di reclusione oltre a una multa non inferiore ad € 516,00.
Tuttavia, la predetta norma è stata oggetto di diverse interpretazioni da parte della Corte di Cassazione e delle magistrature inferiori. Se ne riportano alcune tra le più significative che possono far comprendere quanto possa essere “facile” incorrere nel reato di diffamazione aggravata e quanto ancora non siamo del tutto univoci i criteri di valutazione di volta in volta adottati.
Un esempio, per andare incontro a condanna per la commissione di tale reato ci viene rappresentata dalla sentenza n. 299/2020 dalla sesta sezione penale del Tribunale di Torino. In questo caso vi erano due imputate: una, ex moglie; l’altra amica della ex moglie del soggetto offeso. L’ex moglie lamentava così la condotta dell’ex marito sulla propria bacheca facebook: “Ancora una volta mio ex si è dimostrato una merda … ed è ancora un complimento!! Non basta che mi ha fatto stare per un mese a me e ai miei figli senza gas e senza luce… adesso mi ha fatto staccare anche l’acqua…Questa persona non è padre ne uomo…non vale nulla. E nonostante tutto io vado avanti lo stesso con i miei figli…e devo dire che sto benissimo alla faccia sua”. A tale pubblicazione visibile a tutti seguiva il commento dell’amica: “Ma dico io visto che i bambini vivono con te , l’avvocato non può fare niente? Lui toglie luce acqua e gas quello che gli pare anche ai suoi figli! Chiedi di non farglieli vedere più. Tanto il padre non lo fa e i bambini non lo vogliono. Pagherà con gli interessi Claudia. Sta merda umana”.
La persona pubblicamente offesa ha presentato querela nei confronti di entrambe e, la sezione penale del Tribunale di Torino le ha dichiarate responsabili del reato contestato, condannandole al pagamento di una multa e delle spese processuali.
Costituisce reato per la Corte di Cassazione, quello commesso dalla moglie che, venuta a conoscenza di un tradimento da parte del marito, ha utilizzato la bacheca Facebook per definire l’amante come una poco di buono e rovina famiglie, aggravando la propria posizione con l’asserimento che l’ultimogenito della donna offesa fosse in realtà figlio del proprio marito.
Anche se sembra semplice scovare quelle che possono essere ritenute dichiarazioni diffamatorie, in realtà vanno valutate di volta in volta in relazione al caso concreto. Recente è, infatti, una sentenza della Suprema Corte che ha ritenuto l’insussistenza del reato di diffamazione per la divulgazione di un video tramite la piattaforma youtube, in cui veniva augurato a un medico che aveva rilasciato un’intervista critica sull’omosessualità che “le figlie siano lesbiche e sposino dei gay”. In questa circostanza nei primi due gradi di giudizio era stata riconosciuta la sussistenza del reato di diffamazione, ma la Suprema Corte ha infine ribaltato le precedenti pronunce sull’assunto che: “Ai fini della configurabilità del delitto di diffamazione, è necessario che le parole utilizzate siano attributive di qualità sfavorevoli alla persona offesa, ovvero che gettino, comunque, una luce negativa su quest’ultima, con la conseguenza che è priva di rilevanza penale l’espressione di un auspicio la cui verificazione dipenda dalla volontà e dalle inclinazioni di terzi”.
Dalle divergenti pronunce emerge che la “novità” in ambito giuridico dei social ha generato un vero e proprio tsunami interpretativo in materia. D’altro canto, dai numeri di utilizzo delle varie piattaforme social emerge che il rischio di incorrere in siffatta ipotesi delittuosa è davvero elevato.
Tuttavia dall’insieme delle pronunce emesse dalla Suprema Corte è emerso una sorta di vadamecum per individuare in via generica quali sono i presupposti per la diffamazione via internet (quindi a cui prestare attenzione):
- Individuazione dell’autore delle manifestazioni offensive;
- Comunicazione con più persone alla luce del carattere pubblico dello spazio virtuale;
- Coscienza e volontà di usare espressioni oggettivamente idonee a recare offesa alla reputazione del soggetto passivo del reato.
Si segnala, infine, che costituisce aggravio di pena l’ipotesi in cui vi è la creazione di un falso profilo per commettere la medesima fattispecie di reato.
Da un punto di vista civilistico, invece, è possibile ottenere dei risarcimenti per il danno subito da una diffamazione?
In questo caso, ovviamente, la risposta è si. L’art. 185 del codice penale, infatti, prevede che ogni reato che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga il colpevole a risarcire i danni. Va prestata attenzione, quindi, anche in relazione al risarcimento danni a cui si può andare incontro, che può raggiungere davvero cifre molto importanti. Il criterio di quantificazione del danno viene indicato ai giudici da una tabella emessa dall’osservatorio della giustizia civile del Tribunale di Milano che, attraverso la valutazione di diversi parametri, prevede ipotesi risarcitorie che possono anche superare gli € 50.000,00.
Ai lettori si consiglia, quindi, che se volete utilizzare i social network per riversare eventuali frustrazioni nei confronti di altro soggetto, ci sono almeno 50 mila motivi per cui è bene rifletterci.