Il 52% degli italiani è a favore di strumenti di monitoraggio da remoto da parte del datore di lavoro. E’ quanto emerge da un’indagine condotta da Capterra (Gartner) su un campione di 5.549 persone in 4 paesi (Italia, Spagna, Olanda e Francia) di cui 1.538 dipendenti e dirigenti nostri conterranei a novembre del 2020 in piena emergenza virus. La percezione degli strumenti di telecontrollo risulta positiva per il 67% del campione.
Lo studio originale è stato pubblicato in due parti, studio sui dipendenti e studio sul management.
I dati salienti del campione italiano:
- Il 43% degli intervistati ha dichiarato di essere sottoposto a monitoraggio da parte del datore di lavoro con appositi strumenti;
- Il 52% degli intervistati ha dichiarato che sceglierebbe di essere monitorato dal datore di lavoro, contro il 48% che si è dichiarato contrario;
- Il 74% delle PMI italiane ha dichiarato di aver investito maggiormente nell’adozione di software per il monitoraggio dei dipendenti dall’inizio della crisi COVID-19;
- Il 67% degli intervistati che fanno parte del management ritiene che il monitoraggio abbia un impatto positivo sull’azienda.
Nei prossimi paragrafi verranno analizzati i summenzionati dati nel dettaglio.
Il 52% degli intervistati è a favore del monitoraggio da parte del datore di lavoro
Il 43% dei dipendenti italiani ha dichiarato di essere a conoscenza del fatto che l’azienda monitora le attività durante l’orario di lavoro con appositi strumenti. Un 22% di loro ha poi sottolineato che l’attività di controllo è iniziata dopo lo scoppio della pandemia, per verificare il grado di produttività da casa.
In generale l’88% degli intervistati ha detto di aver espressamente ricevuto, approvato e firmato un documento che li informava di tutte le attività che il datore di lavoro avrebbe monitorato. Solo il 12% ha dichiarato di non aver ricevuto comunicazioni in merito e di aver dovuto richiedere e cercare autonomamente le informazioni di cui aveva bisogno.
Attività più controllate
Le attività più controllate sono state le attività del computer (54%, intese come monitoraggio delle ore lavorate, la navigazione Internet, i movimenti effettuati col mouse e la registrazione dei tasti premuti) e le presenze (50%, intese tanto come orario di log-in e log-out quanto come ore lavorate e straordinari registrati).
Il 44% dei dipendenti vorrebbe più libertà, ma ritiene che tutto sommato il controllo non sia stato eccessivo. Da qui è poi emerso il dato che il 52% dei dipendenti avrebbe comunque scelto di essere monitorato dal datore di lavoro, a fronte di un 48% che è contrario contrario.
Fra le motivazioni inserite in corrispondenza delle risposte positive date, la maggioranza ha risposto che è favorevole al monitoraggio perché vuole dimostrare al datore di lavoro di non aver niente da nascondere e di voler mostrare la propria produttività effettiva per richiedere un aumento di stipendio commisurato.
La mancanza di informazione sull’uso dei dati personali è considerato uno svantaggio dal 21% dei dipendenti e dal 26% del management interpellato. Tutto sommato, una percentuale piuttosto limitata del campione, il che dimostra ancora una volta una sensibilità generalizzata da migliorare sui temi della data protection.
In definitiva, sarà interessante in futuro capire in che modo lo smart working incide sulla produttività, considerato che la percezione di molti è che il lavoro da casa sia aumentato di molto in termini di carichi di lavoro e orari.