Martedì mattina, con grande ritualità (e puntualità ginevrina), presso la sede centrale del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) a Roma, alla presenza del Presidente del Consiglio e di ben tre Ministri della Repubblica, autorità di varia natura, e centinaia di professori e ricercatori, è stata presentata la seconda edizione della “Relazione sulla ricerca e l’innovazione in Italia”, il cui sottotitolo recita “Analisi e dati di politica della scienza e della tecnologia”.
Occasione assolutamente degna di attenzione, anche perché il nesso tra “cultura” e “media” e “scienza” e “innovazione” è sempre più intimo. Basti pensare alla dimensione trasversale del “digitale” che attraversa tutti questi mondi.
I numeri purtroppo sono impietosi.
A fronte di una fotografia, seria ed oggettiva, presentata dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, la risposta della “politica” è apparsa nella sua fragilità, anzi sfuggenza e finanche evanescenza. Ancora una volta: parole, parole, parole…
In sintesi, in materia di ricerca scientifica, l’Italia continua ad essere all’ultimo posto – o comunque nella parte più bassa delle classifiche – a livello comparativo in Europa.
Qualche segnale positivo c’è, ma è lieve (nonostante i redattori del comunicato stampa del Cnr si siano sforzati ad evidenziare il bicchiere mezzo pieno). Secondo i dati diffusi questa mattina, in Italia la spesa per Ricerca e Sviluppo (“R&S”) in rapporto al Prodotto interno lordo (Pil) è in lieve ripresa, passando dall’1,0 % del 2000 a circa l’1,4 % del 2016 (grazie anche all’interruzione del trend di diminuzione degli stanziamenti pubblici).
Restiamo però posizionati in fondo alla classifica dei Paesi europei, dove il rapporto tra investimenti in “R&S” e Pil è quasi del 2 %.
E ciò basti.
La quota dei “ricercatori” in rapporto alla “forza-lavoro” rimane ben al di sotto di quella degli altri Paesi europei, e si distanzia ancora di più dalla media Ue.
I ricercatori
L’età media dei ricercatori evidenzia che l’accesso dei giovani è arduo.
Confrontando l’età dei ricercatori, la relazione mostra come nell’università italiana gli “over 50” superino la metà dei docenti, mentre nel Regno Unito e in Francia sono, rispettivamente, il 40 % e il 37 %.
L’età media dei docenti italiani è di quasi 49 anni e quella dei ricercatori negli enti pubblici di ricerca è di 46. I ricercatori nelle imprese private hanno un’età inferiore, pari a 43 anni.
Il fenomeno è certamente anche correlato al generale invecchiamento della popolazione italiana, ma evidenzia la difficoltà di effettuare nel settore pubblico un reclutamento ordinario basato su una programmazione di lungo periodo. Secondo le proiezioni, in assenza di politiche strategiche di lungo periodo, l’età media dei ricercatori continuerà ad aumentare in tutti i comparti…
L’Italia accede ai finanziamenti europei, ma meno di altri Paesi: la Spagna, per esempio, ha meno ricercatori di noi, eppure accede a più sostegni europei.
Impressionante (in negativo) anche il dato secondo il quale l’Italia contribuisce per il 12,5% al budget dell’Unione Europea (28 Paesi), ed ottiene soltanto l’8,7% dei finanziamenti totali destinati dall’Unione alla ricerca.
Cosa dice il CNR
Questi ed altri dati si pongono quasi a mo’ di “libro nero”, ma è importante che sia una istituzione come il Cnr a mettere in atto un simile processo di autocoscienza.
Nel settore della cultura e dei media, si assiste invece frequentemente a “relazioni” e pseudo-studi che non vogliono fare luce sulle tante aree grigie (e critiche) del sistema, improntati ad un “ottimismo della volontà” privo di fondamenta.
La impietosa relazione del Cnr è stata presentata, in modo efficace e con apprezzabile verve simpatica, dal professor Daniele Archibugi, Direttore dell’Istituto Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali del Cnr (Irpps), che, in una decina di slide, ha proposto una sconfortante fotografia dello “stato di salute” della ricerca in Italia.
La politica
Hanno partecipato alla presentazione, tra gli altri, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca Scientifica (Miur) Lorenzo Fioramonti, il Presidente della Crui (la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane), Gaetano Manfredi (che ha chiesto a chiare lettere a Conte più budget), il Presidente del Cnr Massimo Inguscio (che ha proposto un intervento che definire “moderato” è un eufemismo), ed i curatori della Relazione, Daniele Archibugi e Fabrizio Tuzi. Tra le autorità presenti, Elena Bonetti, Ministra alle Pari Opportunità, e Paola Pisano, Ministra all’Innovazione tecnologica, e numerosi rettori e presidenti degli enti di ricerca.
L’intervento del titolare del Miur non ha evidenziato grandi novità, se non il rinnovato annuncio di una “Agenzia nazionale per la Ricerca” (idea che pure era stata annunciata già dal suo predecessore leghista Marco Bussetti, nel settembre dell’anno scorso, e nello scorso settembre, il Premier Conte l’ha ri-annunciata alla Camera…), e la segnalazione che le università non dovranno fare ricorso al MePa per procedere agli acquisti di quanto di loro necessità, per bypassare burocrazie e accelerare le tempistiche (ma il “Me.Pa – Mercato Elettronico della Pubblica Amministrazione” non era giustappunto nato proprio per razionalizzare e semplificare gli acquisti in rete degli enti pubblici?). A margine della presentazione, il Ministro Fioramonti ha sostenuto: “Il sorpasso della Spagna dà imbarazzo. Dobbiamo arrivare al 3 per cento di investimenti in Ricerca e Sviluppo”.
Belle intenzioni (ennesimo annuncio?), che pure si scontrano con le complessive politiche economiche del “Conte bis”.
Ricordiamo che, fin da settembre (addirittura prima di insediarsi), il Ministro Lorenzo Fioramonti ha minacciato le dimissioni, se il Governo non si fosse impegnato ad assegnare entro l’anno almeno 1 miliardo di euro all’università. Ed anche ieri, ha dichiarato: “io sono un uomo di parola… ho detto che voglio dare un segnale importante… servono delle risorse, perché vogliamo dare un segnale forte di discontinuità… Se non riuscirò a trovare queste risorse, ovviamente ne prenderò le dovute conseguenze”.
La minaccia di dimissioni non è stata riproposta martedì, e forse il titolare del dicastero confida che qualcosa di concreto possa emergere dalla Legge di Bilancio in gestazione. Molti nutrono dubbi.
Il discorso di Conte
Complessivamente deludente l’intervento del Presidente Giuseppe Conte, seppure con una relazione dotta (con citazioni che spaziavano da Alexis de Tocqueville a Robert Merton, inclusa una digressione sulla “serendipità”), perché ha cercato di proporre una lettura complessivamente positiva (ottimista) del sistema della ricerca italiana, senza affrontare di petto i problemi essenziali: budget e strategia, entrambi inadeguati.
Conte rinnova un approccio “soft” nella sostanza ed elegante nei modi, ma, a fronte di dinamiche drammatiche (e questo problema della ricerca in Italia è veramente molto grave), è necessario dimostrare la volontà di cambiare radicalmente (finanche invertire) la rotta. Urgono terapie shocking, prima che il malato ci lasci.
L’impressione complessiva che abbiamo maturato dalla presentazione è di un Paese che non riesce a passare dalla fase di sana autocoscienza a quella di energica reazione.
Le stesse patologie che osserviamo nelle “politiche culturali” italiane si riproducono – mutatis mutandis – nelle “politiche della ricerca”: vischiosità, inerzia, conservazione, stagnazione.
E, nonostante gli annunci (roboanti nel corso del Governo Conte I, mesti nel caso del Governo Conte II), purtroppo non si registrano cambi significativi nelle politiche pubbliche.
Clicca qui, per leggere la presentazione della seconda “Relazione sulla ricerca e l’innovazione in Italia”, a cura di Daniele Archibugi e Fabrizio Tuzi, Consiglio Nazionale delle Ricerche, presentata il 15 ottobre 2019 a Roma.