Chi fa il grossista di rete (wholesale) non può anche fornire i servizi (retail). È questo il principio generale che guiderà l’Antitrust Ue nel far luce sul progetto rete unica proposto da Tim. Principio già espresso in passato e ribadito ancora una volta oggi proprio da Margrethe Vestager, vicepresidente della Commissione Ue, con delega a Concorrenza e Digitale in un’intervista rilasciata a La Stampa.
‘Può esserci un grossista monopolista solo se non è integrato verticalmente’
A precisa domanda, ovvero se l’operazione che coinvolge TIM per la creazione di una “società unica della rete” non rischi di essere in contrasto con la normativa Ue, la Commissaria Vestager ha risposto in linea di principio, visto che il caso non è stato ancora notificato a Bruxelles. “Faccio solo una osservazione generale – ha detto Margrethe Vestager – Può esserci un grossista monopolista, se questo non è integrato verticalmente, se cioè non vende anche a sé stesso nella parte al dettaglio del settore di attività. Potrebbe essere in aree in cui non c’è concorrenza come ora, diventando quindi un grossista più neutrale che consente ai diversi rivenditori di competere l’uno contro l’altro. Quindi, non è impossibile, ma dipende molto da come vengono impostate le cose. Non so se questo si applicherà nel caso italiano perché non conosciamo ancora molti dettagli”.
Risposta diplomatica, perché i dettagli ci sono e sono riportati dai media italiani quotidianamente da almeno 4-5 mesi. L’unica differenza è che, dal momento che il progetto non è stato notificato alla UE, la Commissaria Vestager, molto correttamente, fa ricorso ai “principi generali”.
Sono, tuttavia, principi generali che inchiodano il progetto di rete unica, così come è stato presentato con grande enfasi da TIM e sostenuto con forte (e per alcuni versi ingiustificato) decisionismo dal ministro al MEF Roberto Gualtieri.
Una pietra tombale sul progetto rete unica? Tre possibili soluzioni
Stando alla forma, le dichiarazioni della Commissaria Vestager mettono una pietra tombale sul progetto di rete unica facente capo a TIM, ma (considerati i chiari di luna che hanno illuminato il percorso dell’intera vicenda) non è escluso che TIM e il governo decidano di andare ugualmente avanti, forzando i termini.
A questo punto, si configurano tre soluzioni alternative di percorso.
La prima soluzione è che, appunto, il governo italiano cerchi di forzare i termini, proseguendo nel disegno in corso. TIM potrebbe provare a non notificare alla Commissione, ma questo non escluderebbe comunque un intervento dall’alto della UE (sarà sufficiente un semplice esposto da parte di un rappresentante di interessi costituiti alla UE?). Se ciò dovesse accadere, si andrà sicuramente ad uno scontro con la Commissione Europea. L’Italia si troverà ancora una volta in una posizione di scarsa affidabilità, ma questa volta in un contesto di assegnazione di ingenti risorse finanziarie (Recovery Fund), la cui concessione fa affidamento sulla credibilità nazionale e deve poggiare su basi di reciproca fiducia e rispetto tra Italia ed UE. Insomma, sarebbe un pastrocchio capace di danneggiare la, per alcuni versi debole, reputazione del Paese.
La seconda soluzione è che di fronte alla impossibilità di fare una rete unica, così come congegnata da TIM e sostenuta dal ministro Roberto Gualtieri, TIM stessa decida di cedere la propria rete e di trasformarsi in una società di servizi. Pare una soluzione remota e non in linea con gli interessi presunti del principale azionista di TIM, la francese Vivendi, che detiene il pacchetto di maggioranza e che da quando è azionista, ovvero da 5 anni, continua a non profferire parola. Nessuno sa cosa il principale azionista di TIM pensi a tale proposito.
La terza soluzione, è che tutto rimanga come è. TIM e Open Fiber continueranno a farsi concorrenza come stanno già facendo. E WindTre, Vodafone e Sky Italia continueranno a rivolgersi ad Open Fiber per la fornitura di linee all’ingrosso in fibra ottica con connessioni FTTH. Parallelamente, TIM e Fastweb proseguiranno sulla loro strada e potrebbero finalizzare il deal con l’americana KKR per la rete secondaria di TIM (la società Fiber Cop non sembra sia stata ancora costituita). Anche se questo accordo, privo del punto di approdo di una società unica della rete, potrebbe non avere granché senso.
Cosa faranno ENEL e Cassa Depositi e Prestiti (CDP)?
Ma c’è da considerare anche un altro aspetto, che riguarda il modo in cui alcune rilevanti parti in commedia dovranno forse riconsiderare la propria posizione.
Innanzitutto l’ENEL. L’offerta del fondo Macquerie, al momento in esame da parte di ENEL, si colloca ormai in un contesto diverso. Le pressioni del ministro Roberto Gualtieri su ENEL per una vendita della quota del 50% di Open Fiber perdono peso. L’interesse degli azionisti di ENEL (e il MEF è solo il principale azionista, non rappresenta tutti gli azionisti) potrebbe puntare ad una soluzione diversa:
a) tenere la quota di Open Fiber,
b) costruire un forte polo di vendita wholesale, che diventerebbe inevitabilmente il modello europeo, trovandosi peraltro allineato con i desiderata del Pacchetto Telecom della UE, che entrerà in vigore il prossimo dicembre,
c) portare Open Fiber ad una quotazione in Borsa, che farebbe schizzare il suo valore verso l’alto.
Poi Cassa Depositi e Prestiti (CDP). L’uscita della Commissaria Vestager obbliga presumibilmente CDP a rivedere la propria posizione sulla rete unica. Nessuno conosce i termini del MoU sottoscritto da TIM e CDP, ma la posizione inequivocabile della Vestager potrebbe far trovare CDP in una condizione di imbarazzo, se si pensa alle partite aperte che riguarderanno impieghi di fondi di provenienza europea.
Di sicuro, quello che si avverte è che la guerra continuerà…
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