L’intervista rilasciata da Luigi Gubitosi, AD di TIM, e pubblicata da La Repubblica stamane solleva con chiarezza un punto: in un Paese serio un’azienda privata non può dettare condizioni al governo o a CDP. Anzi in un Paese serio un’azienda privata, ancor più se quotata in Borsa, deve poter procedere speditamente sulla propria strada senza ultimatum di sorta.
Non si possono accettare ricatti di sorta
Al contrario, l’amministratore delegato di TIM, assieme al suo principale azionista, la francese Vivendi, insiste con la richiesta di mantenere il controllo della rete unica (che può voler dire anche in percentuale inferiore al 51%) e la sua gestione. Ma allora è meglio abbandonare l’ex monopolista alla sua strada. Che continui con il suo piano. Non si possono accettare ricatti di sorta.
Resta da vedere ciò che farà il governo, anche alla luce della dichiarazione del ministro Stefano Patuanelli, che ha ribadito il principio secondo il quale se rete unica deve essere, può esserlo solo sotto il controllo dello Stato. “La rete unica la fa lo Stato”, ha detto il ministro dello sviluppo economico.
Ecco cosa il governo potrebbe fare o quali azioni potrebbe lasciar andare.
Che TIM proceda speditamente con il fondo KKR
Innanzitutto, consentire a TIM di andare avanti con l’operazione KKR. In fondo TIM è una società privata, quotata in Borsa ed è giusto che attui le proprie strategie. Sarebbe assurdo opporsi. KKR è un fondo che ha interesse solo a guadagnare dall’operazione, non certo a rimanere socio di lungo periodo. Per cui non ci sono pericoli particolari. TIM faccia pure cassa.
Sarà, tuttavia, interessante capire quali sono i dettagli dell’operazione. Quando saranno svelati? È vero, ad esempio, che KKR avrà il diritto di rivendere a TIM le proprie azioni al prezzo di acquisto più un tasso di interesse annuo molto alto? C’è chi parla addirittura di oltre il 9%. Sarà vero? C’è solo da aspettare per conoscere tutti i punti dell’accordo, che dovranno essere resi noti, e concedersi qualche commento in libertà.
Predisporre un piano di sviluppo della fibra nel Recovery Fund
Entro il prossimo 15 ottobre il governo italiano dovrà consegnare a Bruxelles i progetti del Recovery Fund e sicuramente dovrà presentare un progetto per la rete in fibra.
Il governo utilizzi questa occasione d’oro per accelerare la copertura della fibra anche nelle aree grigie, che rappresentano quasi 10 milioni di abitazioni, circa un terzo del Paese.
Per fare questo bisognerà indire una gara ed Open Fiber, vista la sua posizione di operatore wholesale only, dovrebbe essere una candidata naturale a partecipare. I fondi europei dovranno essere spesi entro il 2023.
La sola Open Fiber ha già un piano per collegare oltre 20 milioni di case entro il 2023. Con la copertura delle aree grigie, l’intero paese potrebbe essere coperto con la fibra entro la stessa data, il 2023.
Non c’è un minuto da perdere.
Rendere obbligatorio lo switch-off del rame entro il 2025
Non ha francamente senso, in presenza delle nuove reti in fibra, mantenere il rame. Dove arriva la rete in fibra bisogna spegnere subito il rame.
Il governo e le autorità indipendenti hanno tutti gli strumenti per rendere obbligatorio lo switch-off del rame. E potrebbero fissare il 2025 come data ultima. In questo modo si potrebbe accelerare ulteriormente il passaggio alla fibra.
Certo questo farebbe crollare il valore della rete di TIM, che si svaluterebbe rapidamente, ma da un lato gli interessi del Paese sono superiori a quelli di una singola azienda che ha la responsabilità, su tutte, di aver ritardato gli investimenti e adesso si trova a pagarne le conseguenze, dall’altro TIM ribadisce costantemente di voler procedere a tappe forzate verso la fibra (quindi, se così è, non dovrebbe subire danno alcuno).
Ora il governo, la politica, le autorità regolatorie facciano la loro parte sino in fondo. Seguano gli interessi del Paese. Si scrollino di dosso una volta per tutte la responsabilità dei pesanti ritardi sin qui accumulati.
Ora è il momento.