Furto dei dati sensibili, violazione della privacy, ma anche malware e attività di phishing, sono tra i rischi più frequenti in cui possono incorrere gli utenti di siti e piattaforme che offrono film e serie tv pirata. È la nuova frontiera della criminalità organizzata in rete che, sfruttando l’accesso diffuso ai tanti servizi illegali che consentono illecitamente la fruizione gratuita di contenuti audiovisivi protetti da copyright, senza autorizzazione (principalmente in download, in streaming, attraverso il linking), oltre a fare profitti a danno dei proprietari dei diritti, aumentano l’esposizione degli utenti stessi a minacce informatiche sempre più gravi.
È questo lo scenario emerso dai dati presentati ieri pomeriggio a Roma, all’evento “Il prezzo della gratuità – Pirateria e rischi informatici”, organizzato dalla Federazione per la Tutela dei Contenuti Audiovisivi e Multimediali (FAPAV) e da LUISS Business School, appendice di una ricerca più ampia, già presentata nei mesi scorsi dalla stessa FAPAV e Ipsos, sul tema dell’evoluzione della pirateria audiovisiva nel nostro Paese.
Tema centrale dell’incontro è stato “Il prezzo della gratuità”, un concetto molto popolare, non solo tra i giovanissimi, ma anche tra gli adulti, che soprattutto negli ultimi tempi, nel nostro Paese in particolare, si sta cercando di scardinare, proprio mostrandone l’aspetto nascosto, l’area grigia che circonda il paradigma della gratuità di internet e cioè: tutto ha un prezzo in questo mondo, anche su internet, se non lo paghiamo noi, o solo in parte, lo paga interamente o in parte qualcun altro.
Oggi, gli utenti che accedono a contenuti pirata in modo gratuito o tramite il pagamento di un abbonamento dal costo contenuto, in realtà, inconsapevolmente, si trovano a dover pagare, e non poco, un prezzo molto alto, visto che dietro l’angolo si nascondono rischi e frodi informatiche pericolose per l’utente e i suoi dispositivi.
L’altra vittima eccellente, ovviamente, è l’industria culturale e creativa, quindi cinema, serie tv, eventi live, tra cui anche lo sport, che si vede sottrarre, anno dopo anno, entrate, ricavi e pubblico, con gravi ripercussioni sui posti di lavoro e sugli investimenti futuri, sulla qualità dei contenuti e dell’offerta generale e quindi sul pubblico finale.
Introducendo il tema, Paolo Boccardelli, Direttore LUISS Business School, ha affrontato subito il tema della pirateria, fenomeno criminale diffuso, “una delle più grandi minacce all’industria culturale e creativa, di cui l’audiovisivo è una parte rilevante, anche nel nostro Paese”.
“Un settore – ha precisato Boccardelli – che l’innovazione tecnologica ha resto estremamente dinamico e sempre più strategico in termini economici e sociali. In Europa l’industria creativa e culturale dà lavoro a 12 milioni di persone, il 7,5% della forza lavoro europea, con la capacità di creare oltre 500 miliardi di euro di valore aggiunto al prodotto interno lordo europeo.
I modelli di business più avanzati si stanno spostando sulle piattaforme web, con una costante crescita d’interesse verso i dati.
Cresce il gap di valore tra chi crea contenuti e chi li distribuisce. Quanto vale l’emozione di uno spettatore che guarda un film su una piattaforma, postando poi le proprie opinioni sui social? Come è diviso il valore dei dati tra il consumatore, la piattaforma, l’editore e il distributore?
Sono queste le domande a cui si deve rispondere per comprendere l’evoluzione del sistema audiovisivo e il suo mercato. La pirateria è un abilitatore straordinario di sottrazione di dati e in questo modo si entra in una seconda dimensione della pirateria, che è quella legata alla privacy.
È il tema della regolamentazione del settore, che fino ad ora ha agito in termini verticali di singole industrie, mentre ora è necessario passare alla regolamentazione dei fenomeni, che la digitalizzazione ha reso globali”.
Solo il 55% dei pirati, secondo i dati Ipsos per FAPAV, è consapevole infatti di tutto ciò che potrebbe accadere compiendo atti di pirateria tramite il linking, lo streaming, live e on demand, e il download di contenuti audiovisivi. Percentuale che scende sotto il 49% per i giovani under 15. Imbattersi in malware, phishing o peggio ancora essere derubati dei propri dati personali è una possibilità reale e concreta.
Ragionando sui dati, Federico Bagnoli Rossi, Segretario Generale FAPAV, ha ribadito che “gli atti di pirateria per accedere ai contenuti audiovisivi non provocano danni solo nei confronti dell’industria e del sistema economico e professionale che ruota intorno alla cultura, alla creatività e al talento del nostro Paese, ma mettono in serio rischio anche la sicurezza e la privacy degli utenti stessi”.
“Come si evince dal basso livello di consapevolezza di chi fruisce di contenuti audiovisivi attraverso piattaforme illecite – ha precisato Bagnoli Rossi – il vero problema risiede proprio nel fatto che compiendo queste azioni, non solo si viola la legge, ma abbassa il livello di sicurezza e tutela della propria identità personale, offrendo, il più delle volte senza accorgersene, al mondo dell’illegalità web, ciò che di più intimo ed inviolabile possediamo, ovvero i nostri dati, le nostre informazioni, i nostri comportamenti. Ecco il perché di questa giornata organizzata da FAPAV e LUISS Business School: riteniamo fondamentale promuovere campagne educative ed informative che consentano di innalzare il livello di consapevolezza sui rischi legati ad un utilizzo leggero e poco attento di piattaforme illegali. Un danno latente che colpisce in modo subdolo prima di tutto gli utenti, quindi l’industria audiovisiva sino all’intera economia italiana, attraverso l’evasione fiscale e la contrazione dei posti di lavoro”.
Durante il suo intervento, il Segretario Generale della Federazione, ha presentato una guida completa ai rischi della gratuità in rete offerta dalla criminalità organizzata, che generalmente chiamiamo pirateria, ma che di picaresco non ha nulla, ad uso e consumo specialmente dei più giovani.
“Prendere coscienza del pericolo e dei rischi, è il primo passo per contrastare con maggiore efficacia i suoi effetti lesivi, in quello scacchiere ipotetico dove la sicurezza dei dati, oltre ai danni economici e sociali, la fa da regina e ognuno di noi deve giocare la sua partita , per evitare lo scacco matto”, si legge nell’introduzione alla guida.
“Prima di parlare della pirateria è anche utile raccontare cosa c’è dietro una macchina da presa, chi sono i protagonisti dell’industria culturale, i professionisti del settore, le maestranze e i grandi artisti, e lo abbiamo fatto incontrando i giovani soprattutto nelle scuole – ha spiegato Bagnoli Rossi – perché quando parliamo di cinema e serie tv, parliamo di posti di lavoro e di investimenti, oggi minacciati proprio dai gruppi criminali che si nascondono dietro la pirateria audiovisiva, i siti web e le piattaforme che offrono illegalmente contenuti in rete in violazione delle leggi sul copyright.
L’industria audiovisiva perde fatturato per oltre 617 milioni di euro l’anno, mentre il danno complessivo all’economia nazionale si aggira sul miliardo di euro l’anno”.
Dati che saranno aggiornati e presentati nei prossimi mesi da FAPAV, con una nuova indagine relativa al 2018.
In Italia, comunque, si è lavorato molto negli ultimi mesi sul tema pirateria e sulla repressione del fenomeno, anche facendo leva sulla comunicazione e l’informazione rivolte ai più giovani: “Disponiamo del Regolamento AGCOM e la sua azione di contrasto alla pirateria, ottenendo ottimi risultati in termini di blocco dei siti e repressione del fenomeno, che ci ha reso un Paese in grado di offrire una best practice sul tema.
Allo stesso tempo, però, ci sono diverse criticità e sfide ancora aperte. Una tra tutte, quella che riguarda ad esempio il camcording, pratica illegale di registrazione audio-video dei film in sala, che rappresenta l’apice della filiera illecita pirata; Un’altra forte criticità è rappresentata dalle IPTV illegali, anch’esso fenomeno in crescita, sui cui il prossimo 31 maggio diffonderemo nuovi dati”.
Tornando sui danni della pirateria all’industria audiovisiva nazionale, 617 milioni di fatturato perso, 171 milioni di mancati introiti, 5.700 posti di lavoro a rischio, 370 milioni di danno a livello di PIL, Vito Crimi, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, nel suo intervento ha affermato che prima di tutto, “la risposta a tutto questo deve essere di sistema”.
“Gli interventi sono troppo puntuali, locali e nazionali, chirurgici, mentre in termini preventivi c’è poca efficacia. Si deve lavorare sul livello culturale, sulla comunicazione e l’informazione. Oggi si pensa che i dati debbano essere fatti circolare liberamente e fruiti in rete da tutti, ma si deve distinguere tra libera circolazione di idee e libera circolazione dei contenuti autoriali. Viviamo nell’età dei dati, materia prima della nostra economia, elemento centrale negli scambi commerciali ed economici attuali”.
La quantificazione economica del dato è un altro tema di massima rilevanza, secondo Crimi, ma è un’operazione che al momento manca: “C’è il tentativo di una startup che ha creato un’applicazione che raccoglie dati degli utenti, che grazie al GDPR ne sono proprietari. Gli utenti sono padroni, quindi, di decidere di passare i propri dati da un soggetto ad un altro. Se ho una tessera di una grande catena di supermercati, io posso chiedere il passaggio del database costruito sui miei dati ad un altro soggetto. Il tentativo è dare mandato alla piattaforma di raccogliere i nostri dati sparsi in giro per la rete, anche su altre piattaforme, che generalmente fanno profitti sui nostri dati. Così è possibile ritornare in possesso dei dati personali e semmai guadagnarci, decidendo a chi venderli. In questo modo si inizia a dare un valore concreto ai nostri dati, si torna a comprendere il valore del dato personale, che col tempo e gli scambi aumenta esponenzialmente di valore”.
Nel campo dell’editoria c’è necessità di fare sistema, di adeguarsi al sistema che sta maturando, ha infine precisato il Sottosegretario, “magari sviluppando una grande piattaforma nazionale che sappia promuovere i contenuti editoriali, prima che ci pensino altri soggetti esterni”.
Sul tema del camcording il Sottosegretario ha dichiarato: “Mi farò promotore di una proposta insieme alla collega Borgonzoni e al Ministero della Giustizia. Dietro il camcording c’è un business criminale, ci sono persone strapagate a livello mondiale per registrare i film nelle sale. E da lì nasce tutto il business criminale che c’è dietro oggi è un reato di pubblica sicurezza punito solo con una sanzione amministrativa”.
“La gratuità non esiste ed è solo un qualcosa per farci pagare un altro prezzo”, ha poi affermato Marco Pratellesi, giornalista e condirettore AGI Agenzia Giornalistica Italia, che ha moderato il primo panel dell’incontro, dal titolo “Come i siti pirata si arricchiscono con i dati personali e “infettano” i dispositivi”, riferendosi proprio al pubblico pirata: “Nessuno si domanda perché qualcuno ci offre gratuitamente qualcosa che invece un prezzo ce l’ha, ignorando volontariamente chi è che poi alla fine lo dovrà pagare”.
Il prezzo della gratuità non è solo economico, ma anche sociale e psicologico, ha sottolineato Riccardo Bettiga, Presidente Ordine degli Psicologi della Lombardia: “Le persone non sono consapevoli. Quando arriva qualcosa di gratuito, a livello psicologico, in pochi cercano di resistergli, e, di fatto, si diventa sordi ai richiami della legge e insensibili agli allarmi legati alle minacce informatiche. C’è un disimpegno nei confronti dei rischi e delle conseguenze delle nostre azioni online, dal bullismo alla pirateria. Ciò che c’è nel virtuale risponde a regole diverse rispetto alla tradizionale dimensione fisica della realtà, per le quali non siamo pronti a livello evolutivo. Il percorso di crescita collettivo non ci ha preparati a questo. C’è da verificare cosa accadrà con le nuove generazioni, i nativi digitali, nati in un ambiente digitale, cosa che di per sé non li tiene al sicuro dalle minacce del sistema, spesso dirette proprio alla disintegrazione delle identità dei singoli, vedi il cyberbullismo, perché per questi ragazzi l’identità fisica e digitale tende a sovrapporsi. Siamo tutti esposti alle truffe online, la gratuità è un’esca che ci sottrae risorse, come i dati, e che ci porta a posteriori a spendere soldi. Altro aspetto di non poco conto, nella lotta alla pirateria online, sono gli enormi interessi della criminalità organizzata nel settore della salute, in particolare della psicodiagnostica, spesso con i test che si fanno in rete, dove al centro delle strategie illecite ci sono sempre i dati personali”.
Anche Cambridge Analytica nacque con un test online, ha fatto notare nel suo intervento Giovanna Bianchi Clerici, Componente Garante Protezione Dati Personali, e da lì non ha più smesso a registrare e raccogliere illegalmente dati su milioni di persone: “Il dato è una miniera d’oro. Ogni volta che entriamo in rete lasciamo tracce ed informazioni che poi sono studiate ed esaminate da soggetti con strumenti idonei per svariate finalità, compresa la manipolazione dell’opinione pubblica.
Il problema va affrontato prima di tutto informando e chiedendo il consenso agli utenti di rete, i cittadini. Basta che sappiano cosa si fa con i dati e perché, accompagnando questo processo informatico con adeguati sistemi di tutela delle informazioni in questione, come nel caso del GDPR”.
La sicurezza dei dati è il problema maggiore di cui ci si deve occupare, secondo Stefano Previti, Presidente OWL Osservatorio Web Legalità: “Se l’ecosistema nel suo complesso non offre garanzie concrete, i nostri dati sono in serio pericolo. Le organizzazioni criminali ne entrano facilmente in possesso e li trasformano in profitti. Anche i dati delle procure, relativi magari ad indagini riservate, non sono al sicuro, tanto che sono finiti sui server di Amazon. La chiave è la responsabilizzazione degli intermediari, su cui si basa l’intera filiera. Le IPTV sono pubblicizzate da siti vetrina indicizzati e pubblicizzati sui motori di ricerca, e si avvalgono di hosting provider”.
Gli attacchi informatici mirano principalmente al possesso dei nostri apparecchi e quindi dei nostri dati, ha spiegato Maurizio Pellegrini, Senior Researcher FUB Fondazione Ugo Bordoni, come nel caso delle criptovalute e delle attività di mining illegale: “L’attività di mining genera criptovalute, monete virtuali che sono coniate illegalmente e all’insaputa dell’ignaro utente dal lavoro di cryptojacking. L’utente in questione scarica un software specifico, spesso dietro truffa, finti servizi online e le stesse piattaforme pirata. In tal modo i criminali generano criptovalute che poi rivendono facendo lauti guadagni, a scapito delle vittime e dei loro computer, che subiscono spesso danni, sia in termini di surriscaldamento e maggiori consumi energetici, sia di software.
Una volta entrati nella rete di cryptojacking, il computer, collegato a centinaia e migliaia di altri in tutto il mondo, entra sotto il controllo remoto dei criminali che lo mettono a coniare criptovalute.
In questo scenario, la pirateria audiovisiva, offrendo gratuitamente film e serie tv al pubblico della rete attira nuove potenziali vittime su cui attivare i software infetti per il mining illegale”.
Nel secondo panel dell’incontro, dal titolo “Come la pirateria contamina il settore audiovisivo”, si è approfondito il tema specifico delle tecniche sfruttate dai gruppi criminali per danneggiare le industrie culturali e creative.
“All’aumentare dei danni diminuiscono ricavi, posti di lavoro, investimenti”, ha affermato Fabrizio Ioli, Senior Vice President Home Entertainment & Consumer Product Warner Bros. Ent. Italia.
“La filiera intera dell’industria audiovisiva è a rischio con l’espansione dei pirati. Fondamentale, dunque, è sensibilizzare tutti sul problema delle gravi perdite registrate dall’industria a causa dell’attività criminale e sulle conseguenze che tali azioni di pirateria determinano per il settore, fino alla vera e propria disgregazione della stessa catena del valore dell’audiovisivo”.
“In questo momento, si deve riflettere sul fatto che negli ultimi due anni il cinema ha perso quasi 20 milioni di spettatori”, ha affermato Federica Lucisano, AD Lucisano Media Group.
“L’avvento di Netflix e delle altre piattaforme web è certamente il dato evidente di uno spostamento della catena del valore, una delle cause di questa perdita di spettatori in sala, ma certamente l’altra, o forse la principale, è la pirateria, visto che nel 2017 il 37% degli italiani adulti ha commesso almeno un atto di pirateria”.
“Serve più consapevolezza sul danno che si arreca al settore, sia economico, sia sociale, con le gravi ripercussioni sull’occupazione, ma anche maggiore attività di informazione e comunicazione, di promozione dell’offerta legale – ha infine evidenziato Lucisano – se è vero che il 35% delle persone che trovano chiuso un sito pirata, successivamente si rivolge alle piattaforme legali. È qui si deve lavorare per sottrarre pubblico ai pirati e riportarlo a pagare il giusto prezzo per consumare contenuti audiovisivi”.
Altro problema di non poco conto è il rapporto che c’è tra dispositivi tecnologici di accesso alla rete e consumo di contenuti online e la conoscenza che noi stessi abbiamo di questi mezzi.
“Si danno device tecnologici avanzatissimi in mano a bambini che non li sanno usare. Si deve partire anche da qui per comprendere il fenomeno della pirateria, perchè il device non è solo uno strumento, ma la casa dei contenuti e va per questo usato nel modo giusto”, ha detto Francesca Chiocchetti, Public Affairs Manager Samsung Electronics Italia.
“I nostri dispositivi sono protetti a più livelli, ma è fondamentale informare gli utenti sul modo corretto di utilizzo dei sistemi. Dai più piccoli agli over 65, tutti devono imparare ad utilizzare i mezzi, navigare, attivare account, usare servizi. Oltre all’hardware ci sono i software e bisogna conoscere anche questi, altrimenti ci si espone a numerose minacce. Scaricando un’app su un telefono un bambino potrebbe arrivare ovunque e, da parte delle aziende fornitrici, non c’è modo di impedirglielo a priori”.
Tornando alla pirateria e le nuove frontiere dell’illegalità, Egidio Viggiani, Direttore Affari Generali e Istituzionali Prima TV, ha evidenziato: “Sono 4.6 milioni le persone che guardano illegalmente contenuti sportivi, un milione circa tramite IPTV. La struttura su cui si alimentano le IPTV è estesa e particolarmente efficace”.
L’IPTV (o Internet Protocol Television) è un sistema che, con pochi euro e un’estrema facilità di attivazione ed utilizzo, consente ad un utente di fruire di contenuti televisivi in formato digitale (live e on demand) per il tramite di una semplice connessione a banda larga come l’ADSL o la fibra ottica.
Illustrandone la struttura, Viggiani ha precisato: “All’apice vi è l’originatore, che decodifica e ricodifica i flussi televisivi delle pay tv, rinviando il segnale ai server per la diffusione al dettaglio, quindi il rivenditore e il cliente finale. La pubblicità di questi pezzotti, come vengono chiamati in gergo i set top box, avviene direttamente in rete, tramite advertising su siti di ecommerce, ma anche sui social e tramite il sempre valido passaparola”.
“La pirateria moltiplica i reati e i danni. Ci sono certamente le attività repressive, perché la cultura e l’informazione non bastano per reprimere il fenomeno. Da un decennio la finanza si è attrezzata per affrontare tali fenomeni illegali, generati dentro e fuori la rete”, ha quindi spiegato a conclusione del panel il Col. Salvatore Paiano, Comando Unità Speciali Guardia di Finanza Nucleo Speciale Beni e Servizi – Gr. Anticontraffazione.
“Le attività investigative sono in crescita e i risultati sono in linea con i dati diffusi sulla pirateria. Chi consuma contenuti pirata si espone non solo ai rischi informatici, ma anche alla possibilità di compiere un reato. La legge sul copyright prevede multe per questi utenti, così come per i rivenditori e i sub rivenditori. Nei confronti del cliente va considerata un’azione poi sostenibile in termini processuali, perché il reato d’incauto acquisto permette di certificare un illecito in relazione alla mancata attenzione sulla provenienza”.