La manifattura di nuova generazione o 4.0, la trasformazione digitale degli ambienti lavorativi, l’introduzione crescente di tecnologie sofisticate come l’intelligenza artificiale, la realtà aumentata e virtuale, il cloud, l’internet delle cose, automazione e robotica collaborativa, sono i fattori che più di altri incideranno e non poco nel cambiamento del mondo del lavoro, delle imprese e dell’industria.
Un cambiamento che ora si fa concreto e tangibile, tanto da far prospettare per il 43% delle piccole e medie imprese italiane la nascita di un ambiente di lavoro misto, in cui i team di lavoro saranno composti da persone in carne ed ossa e tecnologie intelligenti o smart technologies, categoria di innovazione tecnologica in cui ricadono le soluzioni e le tecnologie sopra menzionate.
Un dato nuovo, che da una parte certifica l’affermazione di una certa idea di industria, manifattura e produzione, e dall’altro crea nuovo appeal sul mercato del lavoro, accendendo i riflettori su un altro dato meno noto, quello dei giovani che considerano il lavoro in fabbrica faticoso e manuale (64%), ripetitivo, poco creativo e che lascia poco spazio alla realizzazione personale (48%), poco riconosciuto socialmente (41%) e persino un luogo tecnologicamente arretrato (29%), rendendo di fatto difficile il reperimento di profili specializzati da parte delle aziende.
Secondo l’ultimo Osservatorio MECSPE Italia, relativo al II semestre del 2018, “circa 8 aziende su 10 credono nella propria trasformazione digitale e quasi la totalità (oltre 9 su 10) ritiene di avere un livello di conoscenza medio-alto rispetto alle opportunità tecnologiche e digitali sul mercato”.
Anche nel 2019 si punterà sulle nuove tecnologie abilitanti, continuando nella direzione che vede già introdotte la sicurezza informatica (74%), la connettività (60%), il cloud computing (33%) e la robotica collaborativa (28%), e su ricerca e innovazione: il 61% investirà fino al 10% del proprio fatturato e il 25% dedicherà tra il 10% e il 20% di questo, mentre si considerano in generale come strumenti utili al processo di sviluppo, la consulenza mirata (51%), il trasferimento di conoscenza (42%), il confronto con aziende competitor (39%), ma anche i workshop (21%) e la tutorship di un’università (15%).
Proprio l’Università, così come gli Istituti tecnici e le scuole professionali, rimangono dei riferimenti importanti per quanto riguarda la ricerca di nuove professionalità che facciano fronte alle sfide dell’Industria 4.0, preferiti rispettivamente dal 35%, dal 34% e dal 28% degli imprenditori, secondo cui “la tecnologia ha sì un ruolo di primo piano, ma solo se supportata da un’adeguata formazione umana e da un cambiamento culturale (46%)”.
Le persone, si legge nello studio, giocano sempre un ruolo fondamentale, “sono al centro dei processi ed è la percezione umana il vero driver del cambiamento (39%): è questo il sentiment dominante, che però lascia spazio all’incognita su come avvicinare i giovani a questo mondo, alla luce del fatto che il 48% pensa che l’impatto della digitalizzazione nella vita quotidiana imporrà necessariamente la nascita di nuove figure professionali, con forti competenze in ambito IT”.
Il 42% delle imprese valuta le misure messe in campo dal Governo (credito d’imposta, iper ammortamenti, bonus formazione, Nuova Sabatini, incentivi startup) come positive ed è dell’idea che possano fare la differenza, consentendo alle aziende di fare un passo in avanti; il 43% le giudica discrete, cioè come una buona base di partenza ma non ancora sufficiente, mentre l’11% ha una visione negativa e avrebbe preferito un piano maggiormente strutturato.
Tornando ai giovani e a come guardano al mondo della produzione, se si immagina quale potrà essere il modo di lavorare in futuro, in vista soprattutto dell’introduzione di tecnologie come l’intelligenza artificiale, la realtà aumentata e virtuale, la robotica collaborativa, gli imprenditori italiani intervistati, oltre al team di lavoro misti, composti da uomini e tecnologie intelligenti, pensa sia anche possibile (13%) la nascita di ambienti di lavoro virtuali in cui testare prodotti, scambiare informazioni, dialogare con il committente o cliente finale; mentre il 4% azzarda che il lavoro diventerà quasi un “gioco”, dove il personale avrà un’esperienza più coinvolgente e gratificante, con interfacce molto simili a quelle dei giochi virtuali. Più cauto il 26%, secondo cui cambieranno gli strumenti, ma la vita lavorativa rimarrà la stessa.
Altro elemento chiave è la sostenibilità, che oggi ha assunto un ruolo strategico nelle scelte aziendali: il 34% dichiara di avere incrementato il proprio impegno in questa direzione negli ultimi anni, il 32% è consapevole dell’importanza e ha intenzione di curare questo aspetto in futuro. Il 15% lo ritiene un fattore strategico competitivo per distinguersi sul mercato.
Dando uno sguardo infine alla classifica degli investimenti, su cui si sta puntando maggiormente, al primo posto c’è la riduzione dei consumi (61%), seguita dall’attenzione all’inquinamento e all’impatto ambientale (57%), quindi dall’attenzione all’etica nel rapporto con fornitori e clienti (47%).