Tutti conosciamo città come Alessandria, Lecce o Pesaro, qualcuno le avrà anche visitate; cos’hanno in comune? Oltre ad essere tre bei capoluoghi di provincia italiani, hanno una caratteristica dimensionale che le accomuna, quella di avere una popolazione all’incirca di 92.000 abitanti. Un numero che coincide tristemente con quello dei morti che a questa data il Covid-19 ha inflitto sino ad ora all’Italia. È come se la pandemia avesse provocato la sparizione di una di esse.
Il sacrificio di ciascuna di queste persone ci impone di intervenire presto e bene. L’unica cosa che possiamo fare, oltre naturalmente a ricordarle con assoluta deferenza, è attrezzarci con determinazione a cambiare la situazione e a farlo anche con grande rapidità.
Alla loro scomparsa si aggiunge un’altra tragedia, che vede mezzo milione di persone, prevalentemente giovani, per i due terzi donne, pagare un prezzo molto alto, essendo state costrette ad uscire dal mondo del lavoro. Se idealmente si disponessero in fila, l’una a distanza di un metro dall’altra, coprirebbero all’incirca la strada che congiunge Roma a Milano. Un tragitto purtroppo destinato ad allungarsi, perché non stiamo andando alla radice del problema.
Ciascuna di queste persone ci chiede di offrire loro nuove opportunità. L’unica cosa seria che possiamo fare, non è di prometterglielo, ma di impegnarci a costruire iniziative, capaci di stimolare la creazione di nuovi posti di lavoro.
Di fronte al Covid-19, che ha talmente sconvolto le nostre vite da farci evocare scenari apocalittici, abbiamo provato anche a ricorrere agli esorcismi, innalzando tanti cartelli, come “..ce la faremo” et similia, illudendoci che ci avrebbero aiutato a cambiare in meglio. Ma, come sempre, la realtà è più dura e difficile di quella che immaginiamo. Alla fine, purtroppo, come ricorda Lev Tolstòj, in Anna Karenina, “…tutte le famiglie felici si assomigliano tra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”. Sì, perché il dolore, aggiungo io, è assolutamente individuale.
Una grande incertezza
La situazione è molto difficile e produce naturalmente una atroce incertezza, oltre ad un senso di grande smarrimento. Di fronte ad una sciagura di questa portata, ciascuno ha un solo dovere; contribuire a mitigarla. Ma come si fa? Questo è il vero punto.
Per onestà intellettuale occorre dire, senza fare inutile sfoggio di numeri, a tutti d’altronde noti, che, prima della pandemia, il mondo intorno a noi stava correndo e noi arrancavamo (Istat segnala che solo il 20% delle imprese è digitalizzata ad alti livelli rispetto al Digital Intensity Index)*. I ritardi che abbiamo accumulato ci sono noti:
- sistema educativo invecchiato e inadeguato;
- sanità fatta di luci ed ombre;
- pubblica amministrazione poco efficiente;
- giustizia pachidermica e bloccante;
- fisco iniquo e inefficace;
- imprese piccole e arretrate;
- sistema bancario in lento ri-assestamento;
- situazione occupazionale molto delicata e critica.
Se volessimo riassumere con una affermazione sintetica lo stato del Paese, potremmo dire che al centro non ci sono mai le persone, facendo altresì notare che, tra di esse, giovani e donne vivono condizioni ancora più difficili rispetto alla media.
Cosa fare
Facendo attenzione a non cadere in una ennesima ed altrettanto inutile auto flagellazione, possiamo dire che tutti ne siamo, chi più chi meno, consapevoli. Ciò che ci è mancata fino ad ora è stata la capacità di cambiare rotta.
Perché? È estremamente difficile saperlo; in tanti ci hanno provato, forse interessi contrapposti non hanno giovato. Purtroppo dobbiamo prendere atto che i risultati sono fallimentari. Ciò non ostante, credo non si debba demordere, poiché l’Italia dispone comunque di risorse intellettuali, professionali, manageriali e imprenditoriali di prim’ordine che, opportunamente coinvolte, possono sprigionare una energia enorme insieme ad una qualità eccellente. Probabilmente ciò che ci manca è la capacità di fare “sistema”; cioè di orientare una buona volta per tutte i diversi vettori nella direzione e nel verso giusti. Detto in maniera diversa, l’energia potenziale esiste, bisogna applicare la tensione adeguata ai “morsetti” giusti, e affrontare il tema del rilancio, avendo l’accortezza di mettere in ordine i diversi passi.
Mi permetto, prima di tutto, di condividere tre saggi consigli: il primo del “sommo” A.Einstein, quando ci ricorda che: “non si può pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare sempre le stesse cose”; il secondo del prof. S.Cassese, quando ci dice che: “non si può ridisegnare l’esistente, se non si adotta una mentalità semplificante”; il terzo del prof. F.Butera, quando ci raccomanda di affrontare con maggiore serietà “la questione organizzativa”. Da ultimo, mi prendo la licenza di aggiungerne un quarto, evidenziando la necessità di curare scrupolosamente “la fase attuativa”, altrimenti detta “execution”, senza la quale non sarà mai possibile portare a compimento i progetti avviati, quali che siano la carica innovativa e la portata degli investimenti. Speriamo che possano essere utili.
Il PNRR
Prima di provare a portare un mio piccolo contributo, ritengo doveroso richiamare una affermazione che ritengo sia la stella polare per chiunque voglia accingersi ad affrontare il complesso tema del rilancio del nostro Paese. Ricordo poche parole di una saggezza e di una chiarezza assolute, pronunciate al Parlamento UE dalla Presidente della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen:
“Il Next Generation EU non si propone di riparare e recuperare l’esistente, ma di plasmare un modo migliore per vivere il mondo di domani”.
(Con una chiosa di assoluto rilievo: i destinatari sono i “giovani.”)
Assumendo questa indicazione, sia come il postulato del nostro sistema di riferimento, sia come la bussola per governare la rotta, provo a procedere con ordine, spero, parlando del Recovery Plan prima che del PNRR. Cerco di seguire un percorso lineare, ipotizzando che si debba nell’ordine:
- disegnare, prima di tutto, quale debba essere il futuro del nostro Paese, cioè dove si voglia andare;
- spiegare chiaramente cosa si intenda fare;
- indicare chi siano i principali destinatari;
- fare scelte chiare;
- fissare le priorità;
- precisare chi debba fare cosa, come e quando;
- mettere a punto un sistema di controllo rigoroso della erogazione dei fondi.
Facendo l’attenzione dovuta, naturalmente, alla “Governance”, come sistema di regolazione del fiume di provvedimenti, che auspicabilmente deriveranno dalla attuazione del PNRR, incanalandoli entro un alveo capace di contenerne efficacemente la portata, favorendo la capacità di irrigazione, e facendo attenzione a non lasciare né interstizi, né sacche. È banale dire che per fare tutto ciò serviranno tecnici di prim’ordine, competenti e inappuntabili, risorse di cui questo Paese abbonda. Se la scelta verrà fatta per merito e non per appartenenza, siamo nelle condizioni di schierare team, tra i migliori al mondo.
Facendo un ulteriore passo avanti, occorrerà condividere i princìpi costituenti che tutti si dovranno impegnare a osservare e rispettare:
- prima di tutto, che non si potrà fare tutto;
- secondo, che non ci sarà lo spazio per provvedimenti a pioggia, finalizzati al soddisfacimento di diverse “constituency”;
- terzo, che verranno finanziate solo iniziative utili ai bisogni del Paese, e capaci al tempo stesso di far crescere la nostra economia di una entità tale da poter ripagare il debito (che, ricordiamo è già enorme e si dilaterà pesantemente); detto in altre parole, occorre fare solo debito “buono”;.
I finanziamenti, rispettosi delle linee guida indicate ai punti da a) ad h) di pagina 2, dovranno:
- avere come principali destinatari, nell’ordine: Studenti, Pazienti, Cittadini, Controparti in lite, Contribuenti, Imprese, Banche e Lavoratori;
- essere indirizzati ad innovazioni sia di processo sia di prodotto/servizio, in settori e aziende proiettate al futuro;
- essere accompagnati da una tempestiva riscrittura della legge sugli appalti:
- raggruppando in una centrale nazionale il controllo di tutti gli acquisti;
- rafforzando parallelamente le singole strutture di procurement;
- modificando con grande attenzione la “politica della domanda”;
- vigilando che non si creino cartelli;
- vietando politiche di acquisto al massimo ribasso;
- impedendo la destinazione di fondi a progetti simili;
- favorendo la nascita di filiere verticali, dando il massimo spazio a PMI dotate di chiari valori distintivi;
- sostenendo lo sviluppo di reti di imprese;
- incentivando la crescita delle startup;
- agevolando il circuito virtuoso innovazione-produttività-imprenditorialità;
- dando forte spinta al partenariato pubblico-privato
- ……
- sostenere solo le imprese sane con provvedimenti chiari, semplici e rapidi, capaci di favorire:
- procedure di afforzamento patrimoniale;
- iniziative di crescita “non organica”;
- programmi di crescita “organica”;
- progetti di innovazione;
- piani di internazionalizzazione;
- processi di formazione continua;
- percorsi di certificazione;
- …..
- agevolare le imprese,
- contraendo i tempi di pagamento nei termini previsti dalla UE;
- facilitando la compensazione di debiti e crediti;
- …..
- dare vita ad un Ministero dell’Innovazione e della Trasformazione digitale, con gli opportuni poteri per essere l’unico riferimento a livello nazionale sia delle politiche di indirizzo sia della relativa attuazione.
Il ruolo del mondo associativo
Accennando precedentemente alle Associazioni, ho avuto modo di qualificarle come un grande bacino di energia intellettuale e professionale che, oltre a svolgere i compiti fissati a livello statutario, costituiscono nel loro insieme anche una sorta di riserva della Repubblica, pronta ad entrare in campo nelle occasioni “speciali”.
Il Club dei Dirigenti delle Tecnologie dell’Informazione (CDTI) di Roma, in occasione del trentennale ci tenne a ringraziare coloro che ebbero il merito, quando nel novembre del 1988 non c’era ancora Internet e non c’era neanche la telefonia mobile, figurarsi app e social, di capire che la tecnologia sarebbe stata pervasiva e avrebbe cambiato le nostre vite, quella delle imprese e delle organizzazioni pubbliche e private di paesi interi, anzi, del mondo intero. Pensate quale ampiezza ci fosse nella loro visione, nell’epoca in cui gli informatici operavano in “camice bianco”, lavorando dentro strutture asettiche, chiamate enfaticamente “centri di calcolo”, per arrivare a capire che si sarebbe sviluppata e diffusa una sorta di nuova religione, che avrebbe fatto adepti a tutte le latitudini e le longitudini, e che sarebbe diventata talmente pervasiva da collocare i device elettronici in tutte le nostre case, nelle automobili, per le strade, addirittura addosso a noi, come tante nostre protesi, di cui non avremmo più fatto a meno neanche per un attimo. E lo avevano anche già scritto, imprimendo nello Statuto che il Club è:
“una Associazione di persone, apolitica e senza fini di lucro, nata con lo scopo di contribuire allo sviluppo sociale, economico e industriale del Paese, tramite la promozione di un corretto uso delle tecnologie”.
Come si può constatare avevano ben compreso, quando l’informatica era ancora molto “hard”, che il capitale più prezioso sarebbe stato quello immateriale, fatto di competenze, esperienze e passioni. Non c’era un interesse economico a legarli. Un modello che a prima vista avrebbe potuto sembrare debole, e pertanto destinato ad esaurire la sua “spinta propulsiva” nel breve periodo. E invece? Eccolo, dopo trentadue anni, vivo e vegeto, anzi ancora più forte. I numeri che abbiamo raggiunto stanno a testimoniarlo con grande nettezza. Ciò ci dà la forza di rivendicare la grande attualità del Club. Raccogliendo il loro testimone, abbiamo assunto l’impegno di proseguire lungo la strada da loro tracciata. Come loro consapevoli di dover convivere con uno sviluppo tecnologico che si muove lungo una curva esponenziale, siamo fermamente convinti che, pur trovandoci all’interno di una tempesta, avremo davanti un futuro pieno di opportunità, se sapremo governare la trasformazione digitale, senza rimanerne prigionieri.
Per l’insieme di queste ragioni siamo pronti a fare la nostra parte, rendendo disponibili da subito tutte le professionalità, managerialità e imprenditorialità, che si volesse ritenere utili per dare un concreto contributo ai programmi di intervento, che si stanno predisponendo in questo momento.
Non credo che a questo punto siano necessarie ulteriori aggiunte, mi permetto soltanto, in chiusura, di richiamare il titolo di un libro molto importante, opera del grande Primo Levi: “Se non ora, quando?”.
I soci del CDTI ci sono ora e sono da subito a disposizione.