La Proposta di legge sul Wi-Fi depositata a fine ottobre alla Camera dei Deputati (per iniziativa di Sergio Boccadutri, cofirmatari Ernesto Carbone, Gennaro Migliore, Enza Bruno Bossio, Alberto Losacco e sottoscritta da altri 108 parlamentari) ha generato un interesse notevole, ancor più all’estero, dove ha registrato il lancio su decine di testate in tutti i continenti. Addirittura l’autorevole Frankfurter Allgemaine Zeitung ha parlato di proposta italiana che può diventare un modello per l’Europa.
In Italia la proposta ha generato grande entusiasmo, in qualche caso scomposte reazioni, in qualche altro caso garbate osservazioni.
Tra queste, quelle pubblicate qualche giorno fa dal professore Francesco Vatalaro, pur dirette e frontali, cui è utile rispondere per meglio orientare il dibattito che sta crescendo sul Wi-Fi in Italia e per fare chiarezza su un argomento sul quale pesano probabilmente molti luoghi comuni.
Il primo punto contestato da Franco Vatalaro è quello relativo all’obbligo di legge sul Wi-Fi a carico degli esercizi commerciali e di luoghi pubblici come scuole, Comuni, ospedali, trasporti pubblici e servizi di linea privati ecc.
E perché, ci chiediamo, non considerare il Wi-Fi importante come le toilette? Un esercizio commerciale senza toilette non può fare servizio pubblico. Tra l’altro, molti esercizi commerciali hanno già il Wi-Fi e tra essi alcuni, come è a tutti noto, rendono già disponibile l’accesso. Si tratta di aprire gli hotspot chiusi e attivare quelli mancanti. Un Paese iperconnesso con Wi-Fi ovunque è un Paese dinamico, attivo, che con la comunicazione aggiunta fa crescere il PIL, creando benessere per tutti. Quanto alla obbligatorietà, quando era sindaco di Firenze, il presidente del Consiglio Matteo Renzi obbligò bar e ristoranti che chiedevano permessi per tavoli esterni ad allestire il fasciatoio all’interno, per la gioia di mamme e neonati, ma in fondo (come fu dimostrato) per la soddisfazione degli stessi esercenti.
E’ singolare peraltro, va sottolineato, che ci capiti di parlare con rappresentanti degli esercenti pubblici in modo aperto di obbligatorietà e più in generale di questa proposta di legge e le reazioni frontali vengano da chi pubblico esercente non è ma rischia di parlare presuntamente a loro nome.
Il secondo punto è che quanto delineatosi violerebbe il principio di neutralità tecnologica, cui si addebbiterebbe anche una presunta distorione delle dinamiche del mercato.
La ragione addotta sarebbe la seguente: “…se altrove nel mondo nessuno ha pensato ad imporre obblighi di legge, forse ci si dovrebbe chiedere perché: in Europa ci potrebbero anche essere ragioni legate al quadro comunitario”.
Una frase non sostenuta da ulteriori specificazioni di dettaglio. Certo un dubbio si può esprimere, usando il condizionale, ma in questo caso, ci sbaglieremo, ma francamente ci pare del tutto ingiustificato. Basta poi chiedersi perché ciò non sia successo nel resto d’Europa, a partire dalla Francia con i suoi oltre 10 milioni di hotspot. Parimenti, non si comprende neanche il riferimento alle ragioni di alterazione delle leggi di mercato, dal momento che il Wi-Fi è una modalità di accesso alla rete che va garantito a tutti i cittadini, come sostenuto dalla Commissione Europea e previsto dall’Agenda digitale europea.
Al terzo punto si fa riferimento al fatto “…che la vigilanza sui servizi di telecomunicazioni in Italia è demandata alla Polizia Postale…” si chiede “…con quali competenze i Comuni, immagino in particolare i Vigili Urbani, possano eseguire controlli…(neretti del redattore)”. La prima affermazione è incontrovertibile, quanto alla seconda deve essere frutto di una lettura affrettata, perchè qualunque Vigile Urbano può attestare se l’impianto è funzionante o meno (e ciò che gli si chiede) con il proprio smartphone oppure in base alla segnalazione di un qualsiasi utente dell’esercizio pubblico. Se un esercente chiude in ritardo il proprio esercizio, il vigile urbano che eventualmente lo sanziona non deve essere un esperto orologiaio, deve solo attestare se è stato superato omeno l’orario di chiusura o se il WiFi è acceso o spento, disponibile alla clientela o inibito.
Al quarto punto si fa esplicito riferimento alle difficoltà di connessione in aree di digital divide. Vi risparmio le personali convinzioni sulla presenza in Italia di reti, che ci escono letteralmente dalle orecchie (se si considerano anche le decine di migliaia di chilometri di reti in fibra costruite da Comuni Province, Regioni e da una miriade di enti pubblici o società miste).
Ma se parliamo di digital divide, mi rendo conto che si fa fatica a convincersi che il digital divide non esiste più. L’intera Europa è coperta da banda larga satellitare erogata a prezzi del tutto analoghi a quelli forniti dagli operatori di tlc da operatori come Eutelsat. In Italia molti piccoli Comuni, dall’Abruzzo alla Liguria, hanno fatto ricorso con successo a questa soluzione che garantisce ampiezza di banda spesso di gran lunga superiore a quella offerta dagli operatori tlc.
Al quinto punto si dice chiaramente che la proposta di legge determinerebbe uno spreco di spettro e non la sua valorizzazione.
Non pretendiamo di entrare nel merito di questioni tecniche, tuttavia vanno sottolineati due aspetti.
Il primo è che le reti mobili italiane sono vicine al collasso (la cosa non riguarda solo quelle italiane, un allarme del genere è stato dato una settimanafa dalle colonne del Financial Times da GSMA l’associazione mondiale degli operatori mobili). A molti di voi sarà capitato di non riuscire a scaricare una mail neanche nel centro di Roma. Ebbene il Wi-Fi decongestiona il sovraccarico delle reti mobili. Contrariamente a quanto sostenuto, ci sarà invece sottile apprezzamento da parte degli operatori mobili.
Se poi guardiamo agli operatori di rete fissa, l’obiettivo delle nuove reti in fibra è un miraggio. In tutta Europa si fa una gran fatica a convincere gli utenti a prendere la fibra. Ebbene il Wi-Fi sarà la KillerApp della fibra. Un caso su tutti? Quello del proprietario di quattro campeggi a Lignano, il quale diceva che per soddisfare la domanda di connettività espressa dalla clientela (perchè un camper tedesco con una famiglia di quattro persone esprime almeno 4 smartphone, un paio di tablet e magari un laptop) ha dovuto portare la fibra in ciascuno di questi quattro campeggi, proprio per rispondere alle esigenze della clientela con una rete fitta di hotspot. La fibra nel campeggio, grazie al Wi-Fi!!! Altro che alterazione di mercato.
Infine la sollecitazione espressa è l’attesa di “…azioni serie di stimolo della domanda, a cominciare dall’incentivo allo sviluppo del digitale nella pubblica amministrazione e dalla promozione culturale digitale che aiuti i cittadini a capire il valore aggiunto che esso può offrire alla società e all’economia a tutti i livelli (neretti del redattore)”.
Comprendiamo lo spirito costruttivo con cui sono state espresse tali considerazioni, ma temiamo possano essere strumentalizzate da coloro che da oltre un decennio, grazie agli incarichi pubblici o politici rivestiti, ci ricordano costantemente che “gli italiani non amano internet”, che “negli uffici è meglio avere il contatto diretto”, che “il digital divide è un freno” e che “se prima non facciamo le reti e non alfabetizziamo la popolazione non potremo fare null’altro”.
Costoro dimenticano che siamo un paese con 27 milioni di persone regolarmente iscritte a Facebook e con quasi 20 milioni che vi entrano puntualmente almento una volta al giorno. Dimenticano che il 62% degli italiani possiede uno smartphone e che il 60% di essi guarda abitualmente video in mobilità. Dimenticano che il 97% degli over 16 possiede un telefonino intelligente e che nel 2013 29 milioni di italiani hanno avuto accesso costante a internet via smartphone o tablet. Insomma è indiscutibile includere nello sviluppo coloro che sono isolati, ma non si può fermare la corsa di traino della maggioranza della popolazione che corre invece come un treno. Non vorremmo che qualcuno volesse frenare le maggioranze usando come alibi le minoranze.
Il vero rischio è quello della marmellata digitale che ha bloccato lo sviluppo del futuro in questo nostro paese, le cui classi dirigenti di un intero decennio hanno dimostrato non solo di volerlo bloccare ma anche di non amarlo, naturalmente guardandosi bene dal digitalizzare la PA e ripetendo quotidianamente che abbiamo difficoltà di digital divide e che bisogna fare alfabetizzazione informatica dei cittadini.
Temiamo che queste persone, che hanno avuto incarichi pubblici e politici, non conoscano il Paese in cui vivono.
Gli italiani sono molto oltre, sono loro, le classi dirigenti, che per oltre un decennio hanno dimostrato di agire da freno allo sviluppo che ha invece sostenuto e lanciato tutti gli altri paesi europei.
Leonardo Sciascia si scagliava contro i “professionisti dell’antimafia”, che avevano bisogno della mafia per poter esercitare il proprio ruolo presuntamente antagonista.
Purtroppo oggi abbiamo i professionisti del digital divide e dell’alfabetizzazione informatica, professionisti dell’uovo e della gallina che mobilitano menti, risorse e istituzioni per “capire meglio” se occorre avere prima le reti o primai servizi.
Lasciamo questi atroci dubbi amletici a tali professionisti, ma intanto corriamo per fare dell’Italia il “paese più connesso al mondo”.
Per quanto ci riguarda ci auguriamo che Parlamento e attuale classe dirigente decidano di imprimere un definitivo cambio di passo, senza il quale difficilmente l’Italia potrà mantenere chance competitive e di rilancio dell’economia.