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Intelligenza artificiale: diagnosi precoce del Parkinson, “Fino a sette anni in anticipo”

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Grazie a tecnologie indossabili, IA e le soluzioni eHealth, oggi è possibile individuare i sintomi del Parkinson con grande anticipo. Scuola Sant’Anna di Pisa: “in questo modo sarà possibile applicare precocemente terapie neuroprotettive e nuovi farmaci”.

Il morbo di Parkinson è una delle più tristemente famose malattie degenerative del sistema nervoso centrale negli esseri umani. Secondo dati della piattaforma Parkinson Italia, in cui confluiscono molte delle associazioni dedicate alla malattia, nel nostro Paese ci sono circa 300.000 persone affette dal morbo, con costi sociali altissimi.

Come vuole la letteratura internazionale, l’età media in cui si iniziano a manifestare i sintomi è di 60 anni e l’incidenza sale significativamente con l’aumentare dell’età. Circa il 5-10% delle persone con il morbo di Parkinson presentano i primi sintomi della malattia prima dei 50 anni.

Purtroppo, la malattia non ha una cura, ma la diagnosi precoce può giocare un ruolo chiave nel contrasto dei sintomi.

L’aspettativa di vita media di un paziente con il morbo di Parkinson è generalmente la stessa di una persona sana, soprattutto quando la diagnosi è tempestiva e il successivo trattamento adeguato.

Il progredire dei sintomi nel morbo di Parkinson potrebbe impiegare 20 anni o più, è quindi fondamentale cercare di individuarne le tracce il prima possibile, per personalizzare i trattamenti e ridurre o contenere il processo degenerativo.

Proprio sul rapporto tra diagnosi precoce della malattia e coinvolgimento del paziente, è centrato lo studio pubblicato sulla rivista internazionale “Parkinsonism & Related Disorders”, coordinato da un gruppo di ricercatori dell’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna, guidato dal ricercatore Filippo Cavallo, in collaborazione con la Neurologia dell’Ospedale delle Apuane di Massa e Carrara (Azienda USL Toscana Nord Ovest), di cui è responsabile il dr. Carlo Maremmani.

Il documento si basa sullo sviluppo di un dispositivo tecnologico, chiamato “SensHand” (sostanzialmente un guanto high tech che raccoglie dati motori), costituito da sensori indossabili e intelligenza artificiale, in grado di rilevare, di misurare e di analizzare i movimenti degli arti superiori di una persona. I primi segni motori della malattia che portano alla diagnosi sono il tremore, la rigidità muscolare, il rallentamento motorio.

Tuttavia, è spiegato dai ricercatori, “questi sintomi compaiono in modo evidente solo dopo vari anni che il processo neurodegenerativo ha già avuto inizio nel sistema nervoso, portando a un notevole ritardo nella cura della malattia”.

Il dispositivo indossabile sviluppato dall’Istituto di BioRobotica, attraverso tecnologie mHealt e ICT, mira a proprio ad abbattere la latenza di tempo tra l’inizio della malattia nel sistema nervoso e l’evidenza clinica dei primi sintomi motori.

Sebbene la diagnosi sul Parkinson sia fortemente orientata alla valutazione dei sintomi motori – ha affermato Cavallo – l’interesse verso i sintomi non motori sta sostanzialmente aumentando perché questi possono anticipare l’insorgere dei deficit motori di 5-7 anni, consentendo di contrastare la malattia nella fase cosiddetta prodromica”.

Il nostro lavoro – ha dichiarato Erika Rovini, post-doc dell’Istituto di BioRobotica – pone le basi per approfondire e promuovere l’utilizzo di sensori indossabili non invasivi e a basso costo, congiuntamente a tecniche avanzate di intelligenza artificiale, per lo sviluppo di sistemi affidabili da poter essere utilizzati nella pratica clinica come strumenti di decision making di supporto al medico per la diagnosi della malattia di Parkinson in una fase molto precoce che non è possibile identificare con le tradizionali tecniche diagnostiche”.

Grazie ai sensori indossabili per l’analisi del movimento, ha commentato il dott. Maremmani, è così possibile infine “valutare e scoprire le minime alterazioni motorie non visibili ad occhio nudo”, arrivando alla diagnosi di malattia di Parkinson preclinica: “Questo risultato e questo tipo di approccio permetterà tra non molto di iniziare veramente in modo precoce terapie neuroprotettive ed anche nuovi farmaci attualmente in fase di studio”.

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