L’identità culturale di uno stato, di una nazione, passa doverosamente dalla storia che lo ha partorito.
La necessità di preservare la memoria dell’Italia passa attraverso l’impronta che il mondo cristiano ha lasciato nel corso dei secoli.
Invero, la millenaria vicenda cristiana costituisce un dato ineliminabile del nostro patrimonio storico e culturale. (Giovanni Filoramo, Daniele Menozzi, Storia del cristianesimo, vol. IV. L’età contemporanea, Laterza, 2009).
Per ciò solo non dovrebbe essere posto in alcun dubbio che l’Italia – e del resto l’Europa tutta – è profondamente intrisa del precetto cristiano, specie nell’assetto giuridico.
Per molto tempo si è discusso sulla valenza del crocefisso e tuttavia esso non è solo un simbolo religioso ma anche antropologico, sociologico e storico.
Non potrebbe essere altrimenti: il Crocefisso ha una natura intrinseca poliedrica che va dal monito dell’errore giudiziario (simbolo della crocefissione di un uomo giusto) all‘uguaglianza tra gli uomini (millenni prima che venisse scritto l’art. 3 della Costituzione ovvero l’art. 20 della CEDU) e la carità (fondamento della solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost.).
Se per un verso si potrebbe disquisire sulla libertà religiosa e sul ruolo rivestito dallo Stato (inteso come organo neutrale e garantista) non deve essere dimenticato che ogni professione di fede gode di libertà positiva (cioè di poter fare, cioè di credere e professare in qualcosa o in qualcuno), ma mai è libertà negativa, cioè potere di imporre qualcosa a qualcuno.
Ovviamente ciò vale per tutte le professioni di fede, e pur tuttavia in nome della proclamata integrazione, della neutralità e garantismo, non si deve mettere in dubbio la storia di un paese.
Per essere più chiari.
L’Italia non è un paese vergine, bisogna evitare che si ripeta una “conquista del west” laddove poi ci si riduca a creare delle “riserve cristiane” come accaduto per quelle “indiane”.
Più autori hanno cercato cassandricamente di sensibilizzare il pubblico ma, oramai, l’unico mezzo ti tutela è trincerarsi con il diritto, con il senso di legalità.
Il cristianesimo gode di una doppia tutela, quella religiosa (non oggetto del presente scritto) e quella reale intesa come tutela del patrimonio storico artistico e culturale italiano ex art. 9 Cost..
La dottrina e la giurisprudenza (soprattutto costituzionale) hanno consumato fiumi di parole in merito al patrimonio artistico e culturale, poche le volte in cui si sono cimentate per spiegare al meglio il patrimonio storico.
Esso, comunque nella sua accezione più ampia, impegna la Repubblica ad assicurare, tra l’altro, la promozione e lo sviluppo della cultura nonché la tutela del patrimonio storico ed artistico della Nazione, quale testimonianza materiale della civiltà e della cultura del Paese.
Anche per quanto si desume da altri precetti costituzionali, lo Stato deve curare la formazione culturale dei consociati alla quale concorre ogni valore idoneo a sollecitare e ad arricchire la loro sensibilità come persone, nonché il perfezionamento della loro personalità ed il progresso anche spirituale oltre che materiale. In particolare, lo Stato, nel porsi gli obiettivi della promozione e dello sviluppo della cultura, deve provvedere alla tutela dei beni che sono testimonianza materiale di essa ed assumono rilievo strumentale per il raggiungimento dei suddetti obiettivi sia per il loro valore culturale intrinseco sia per il riferimento alla storia della civiltà e del costume anche locale; deve, inoltre, assicurare alla collettività il godimento dei valori culturali espressi da essa (Corte Costituzionale N. 118 SENTENZA 6-9 MARZO 1990).
Questa affermazione, poi, non si pone in contrasto con la laicità dello Stato e sarebbe coerente sia con l’art. 7 della Costituzione, sia con il riconoscimento, contenuto nell’art. 9 dell’accordo di revisione del concordato tra Stato e Chiesa Cattolica reso esecutivo con la legge n. 121 del 1985, secondo cui i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano.
Da qui l’equivoco di fondo per cui “ora di religione” non è e non può essere l’ora “delle religioni” ma è il veicolo con cui si insegna ad apprezzare il patrimonio storico, culturale, artistico italiano.
Del resto e secondo questo assunto, dovrebbe essere meditato il sistema di concessione della cittadinanza italiana che attualmente si attesta al solo decorso del tempo e ad alcuni parametri familiari ed economici del richiedente senza porsi la questione se l’aspirante cittadino italiano abbia maturato consapevolezza della cultura e della storia italiana.
Ma per apprezzare e proteggere questo tesoro bisogna comprendere che la laicità dello Stato non c’entra nulla con tutto ciò.
Se l’arte è percepibile (come pure la cultura), la storia invece spesso non è scritta, non è incisa e preservata dal tempo (la storia molte volte è racconto e passaparola).
E del resto non si può scindere la cultura -come l’arte- dalla storia.
Ogni elemento artistico e culturale nasce in un contesto storico e territoriale.
Non è necessario qui fare menzione di alcune esemplificazioni per comprendere che se non ci fosse stato il Cristianesimo l’Italia non sarebbe lo Stato con il più alto numero di opere d’arte oppure con il più cospicuo patrimonio culturale.
E questo patrimonio è la storia, la memoria del cristianesimo.
Non avremmo avuto molte opere se non vi fosse stato l’impulso cristiano di raffigurare la religione.
Del resto non avremmo avuto un patrimonio umano così ricco senza la dottrina cristiana (si pensi alla Divina Commedia di Dante opera letteraria di massimo pregio).
L’assunto non è di stile ma contenuto: il passato insegna che solo la combinazione di coincidenze tra tempi/luoghi e uomini che ha prodotto il ricco tesoro che ci ritroviamo.
Mostrare insensibilità al passato, alla memoria storica di un paese significa privarci delle nostre radici e d’altronde l’essere umano ha necessità del passato (di simboli) in mancanza dei quali ne creerà altri o ne acquisirà da altre culture.
Non dissimile a questo problema è la tutela della lingua italiana (in cui non vi è traccia specifica di tutela nel dettato costituzionale) laddove si dimentica la ricchezza della nostra lingua per far spazio a neologismi incrocio con lingue straniere frutto della nostra stessa ignoranza.