Energia

Fine della dipendenza petrolifera e conseguenze geopolitiche

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L’International Energy Agency individua il 2025 come orizzonte a partire dal quale la domanda di petrolio subirà decrementi. Quali conseguenze sul piano geopolitico? Il passaggio alle energie rinnovabili eliminerà le destabilizzazioni che hanno caratterizzato l’era del petrolio?

Dal carbone al petrolio, la questione dell’approvvigionamento energetico è stato, in ogni tempo, al centro della geopolitica mondiale, favorendo l’ascesa o la caduta dei grandi imperi e provocando spesso tensioni e conflitti.

Dal carbone al petrolio

Il ruolo predominante svolto dal petrolio in campo energetico e geopolitico affonda le radici negli anni precedenti alla prima guerra mondiale. L’avanzamento del programma navale voluto dal Kaiser Guglielmo II, nell’ambito della politica del neuer kurs, e le difficoltà nel trovare un compromesso con la Germania portarono Winston Churchill, all’epoca Primo Lord dell’Ammiragliato, a cercare soluzioni per mantenere il primato navale britannico. La scelta fu quella di sostituire il carburante della Royal Navy e passare dal carbone, il cui sfruttamento aveva costituito il pilastro dello sviluppo dell’impero britannico, al petrolio, che avrebbe reso la flotta britannica più veloce di quella tedesca.  

La decisione di Churchill finì dunque per segnare una nuova era, rendendo il petrolio una risorsa fondamentale per la sicurezza militare ed economica di tutte le grandi potenze.

Nel nuovo ordine scaturito dal secondo conflitto mondiale, infatti, i tentativi di controllare le risorse petrolifere hanno causato destabilizzazioni e numerose guerre, spesso asimmetriche, soprattutto nell’area del Medio Oriente. Si pensi alle pressioni sovietiche verso l’Iran settentrionale e alla conseguente crisi iraniana del 1946, alla guerra Iraq – Iran tra il 1980 e il 1988, alla guerra del Golfo del 1990 a seguito dell’invasione irachena del Kuwait e, di recente, alle tensioni tra Usa ed Iran in cui la questione petrolifera si pone come una delle motivazioni più importanti.  

Dal petrolio a fonti alternative: sviluppo tecnologico e climate change

Se durante il secolo scorso la geopolitica, in campo energetico, è ruotata intorno al problema dell’approvvigionamento petrolifero, negli ultimi anni il processo di transizione energetica sta spostando l’attenzione dei paesi e dei mercati verso fonti alternative. In questa fase di cambiamento, i driver principali sono rappresentati dal progresso tecnologico e dalle preoccupazioni suscitate dal climate change.

Infatti, se da un lato il progresso tecnologico ha migliorato l’efficienza delle tecniche estrattive del petrolio con conseguente riduzione dei costi, dall’altro ha permesso significativi sviluppi nel settore delle rinnovabili, sia rendendo competitive l’energia solare, eolica e marina, sia abilitando l’utilizzo di fonti alternative al petrolio nel settore dei trasporti; si pensi alle macchine elettriche o agli aerei alimentati da batterie. A tali sviluppi si è aggiunta la forte preoccupazione per i livelli di riscaldamento del pianeta causati dall’utilizzo di combustibili fossili. In tal senso, l’accordo di Parigi siglato nell’autunno 2015 ha segnato un importante passo in avanti. Infatti, per la prima volta tanto i paesi più sviluppati quanto quelli in via di sviluppo si sono impegnati in modo trasversale ad agire per mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2 ° C rispetto ai livelli preindustriali e proseguire gli sforzi per limitare l’aumento della temperatura a 1,5 ° C al di sopra dei livelli preindustriali. 

Questo impegno rafforza dunque le misure di decarbonizzazione adottate già da diversi paesi e, in particolare, a livello europeo con la strategia impatto zero sul clima entro il 2050. Appare sicuramente difficile dire con certezza quando avverrà la transizione ma i dati forniti dalla IEA indicano il 2025 come un anno cruciale. In questa data, la domanda petrolifera inizierà a subire una contrazione progressiva e nel 2035, se ci sarà coerenza tra obiettivi e politiche, l’offerta mondiale di energia sarà caratterizzata da un contributo dell’energia solare maggiore di quello del carbone; in particolare, l’IEA stima in 2200 miliardi di dollari il volume di investimenti necessario fino al 2025 per realizzare tali obiettivi.

Conseguenze

L’operare dei due elementi indicati ha già iniziato a riconfigurare il mercato energetico globale con conseguenze di lungo periodo rilevanti sul piano geopolitico sia per i paesi importatori sia per quelli esportatori.

I paesi importatori di energia, come ad esempio l’Italia, potranno certamente beneficiare dalla transizione per due ordini di ragioni: primo, la riduzione delle importazioni di petrolio consentirà a questi paesi di recuperare indipendenza e slegarsi dai condizionamenti geopolitici propri di questo tipo di importazioni; secondo, la transizione rappresenta una opportunità che comporta scelte strategiche. I paesi che saranno in grado di investire nel settore delle rinnovabili, dal solare all’auto elettrica, potranno godere di esternalità positive in termini di crescita economica e, quindi, anche in termini occupazionali.

Per i paesi esportatori di petrolio, invece, la situazione appare più complessa. Se da un lato la transizione energetica si pone come un’opportunità anche per i paesi produttori di petrolio, in particolare per quanto riguarda l’energia solare, dall’altro lato si tratta di state led economies fortemente dipendenti dai proventi dell’export di petrolio. Se si esclude il Qatar e la sua uscita dall’OPEC, la maggior parte dei paesi medio orientali e nord africani potrebbero non essere in grado di avere la forza per diversificare in tempo l’economia e mettere in campo strategie di crescita diverse dal mero sfruttamento delle risorse naturali. La transizione potrebbe dunque coglierli impreparati con conseguenze gravi sia dal punto di vista socio-economico che geopolitico.

Transizione energetica: criticità

La riduzione dei proventi petroliferi potrebbe infatti esporre tali paesi a problemi rilevanti in termini di sostenibilità della spesa pubblica e del welfare e generare, sul piano interno, crisi e destabilizzazioni con un prevedibile aumento dei flussi migratori verso l’occidente. In questo senso, la recente esperienza del Venezuela offre prospettive allarmanti.

La transizione energetica pone inoltre due ulteriori problemi. In primo luogo, la creazione di energia tramite fonti alternative ne stimolerà il commercio. Il successo delle fonti di energia come il solare e l’eolico, essendo legate in larga parte a variabili che sfuggono al controllo dell’uomo, dipenderà quindi dalla qualità e stabilità delle reti elettriche. In questo panorama, le reti svolgeranno dunque un ruolo essenziale con il rischio che si creino posizioni dominanti da parte dei paesi gestori delle reti e che quindi la compravendita di energia si trasformi in uno strumento di pressione sui confinanti non dissimile da quanto avvenuto durante l’era del petrolio.

A questo rischio si aggiunge poi la questione della sicurezza delle reti. Infatti, la gestione digitale dell’energia, sia in fase di creazione che di somministrazione, si pensi ai contesti di smart city, esporrà il sistema a due importanti criticità: la prima, rappresentata dai rischi di cybersecurity, ove attori statali e non statali potrebbero attaccare e mettere fuori uso la rete energetica nazionale, come avvenuto nel 2016 con l’attacco hacker russo alla rete elettrica ucraina.

In questa prospettiva, gli attacchi cyber ai sistemi digitali di gestione dell’energia si sostituirebbero ai bombardamenti dei pozzi petroliferi avvenuti più volte durante il secolo scorso in situazioni di tensione internazionale.

Considerazioni simili si applicano anche alla seconda criticità rappresentata dalla tutela della privacy nella gestione dei flussi di dati dei consumatori. Risulta quindi del tutto evidente il peso geopolitico che gli investimenti in sicurezza assumeranno nei prossimi anni, ponendo la questione della gestione delle reti in un’ottica di sicurezza nazionale.

Fine delle destabilizzazioni?

A quanto descritto si aggiunge un ulteriore problema. La transizione energetica e la fine della dipendenza da petrolio non elimineranno tuttavia la necessità di approvvigionamento delle materie prime necessarie alla produzione di alcune fonti energetiche alternative. In questo senso, l’interesse attuale di molti paesi, in particolare della Cina, verso alcune zone dell’Africa deriva dalla presenza di minerali come litio e cobalto, fondamentali per la costruzione delle batterie necessarie ad alimentare le auto elettriche. 

È chiaro dunque che la fine della dipendenza dal petrolio favorirà la sicurezza energetica di quei paesi importatori che sapranno cogliere le opportunità offerte dalla transizione energetica e darà una risposta concreta alle preoccupazioni sollevate dal cambiamento climatico. Tuttavia, la nuova era energetica e le risorse produttive alla base della transizione lasciano intravedere all’orizzonte nuove sfide e rischi geopolitici simili a quelli vissuti con carbone, petrolio e gas.

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