Continua la campagna di boicottaggio di Facebook da parte di quelle aziende che hanno deciso non spendere più un dollaro in pubblicità fino a quando la piattaforma social non fermerà il linguaggio dell’odio e la disinformazione.
È la campagna #StopHateForProfit, che da settimane ormai sta vedendo crescere costantemente il numero di organizzazioni e aziende di grandi dimensioni che hanno deciso di aderire: ad oggi se ne contano più di 1000.
Grandi e piccoli brand vs Facebook
Nel primo semestre del 2020, i 100 inserzionisti più grandi hanno speso in advertising 221,4 milioni di dollari, il 12% in meno rispetto a quanto fatto un anno prima (251,4 milioni), secondo stime Pathmatics.
Non molto, su un totale di 18,7 miliardi di dollari di ricavi advertising del secondo trimestre dell’anno, perché, di per sé, i primi 100 inserzionisti valgono solo il 16% di questo mercato.
I piccoli inserzionisti rimangono il cuore del business Facebook e il loro comportamento in questi mesi è rimasto coerente con la necessità di sfruttare questa piattaforma social per sopravvivere, soprattutto in piena pandemia Covid-19.
Ma la spesa in Advertising è aumentata
Nelle prime tre settimane di luglio, Facebook ha dichiarato che le proprie entrate pubblicitarie sono aumentate del +10% rispetto all’anno passato. Non un dato isolato, secondo il social creato da Zuckerberg, ma un tasso di crescita che potrebbe rimanere costante per tutto il terzo trimetre.
Piccole aziende che di certo non sono insensibili ai temi della campagna lanciata dai gruppi per i diritti civili e democratici, ma che semplicemente non possono sopravvivere senza l’advertising online.
Secondo stime DEG, il 60% delle piccole imprese ha aderito al boicottaggio di luglio, ma preannunciando già da tempo un loro ritorno alla spesa in annunci pubblicitari su Facebook per il mese di agosto.
Se da un lato si comprende bene qual è il business core del social media per quanto riguarda l’advertising, dall’altro non bisogna pensare che gli effetti della campagna #StopHateForProfit siano inutili o blandi.
#StopHateForProfi, gli effetti della campagna
In realtà, si è aperto un dibattito pubblico negli Stati Uniti e in altri Paesi su temi centrali come fake news, disinformazione, violenza e odio online.
Si è tenuta un’audizione al Congresso degli Stati Uniti, la scorsa settimana, e in più incontri il management di Menlo Park si è visto costretto a dialogare e collaborare con associazioni e movimenti, come la Global Alliance for Responsible Media.
Da questi incontri è nato un audit sui diritti civili e Facebook ha anche accettato di assumere un responsabile di settore.
Non c’è solo il problema etico della più grande piattaforma social al mondo che fa da editore a pagine inneggianti alla violenza, all’odio, al neonazismo e all’omofobia, ma anche quello della privacy, del trattamento dei dati personali di centinaia di milioni di persone e della capacità di influenzare intere campagne elettorali.