L’estate è alle porte e con essa anche le tanto sognate ferie. Al mare, in montagna, in campagna e nelle città d’arte, sono tante le mete nel mirino dei vacanzieri italiani, europei e di tutto il mondo. L’Italia ha da offrire bellezze naturali, paesaggistiche, artistico-culturali e storico-archeologiche che non hanno pari al mondo, per quantità e qualità, ma la minaccia dell’inquinamento è tale che si devono prendere davvero sul serio gli allarmi lanciati dagli studiosi negli ultimi anni.
Andare al mare oggi significa già avere a che fare con rifiuti di ogni tipo e grandezza, sia in spiaggia, sia in acqua. Lo stesso per la montagna, senza contare le innumerevoli discariche a cielo aperto nelle aree rurali a ridosso dei centri urbani e l’inquinamento che soffoca letteralmente le nostre invidiate città d’arte.
Partendo dalle spiagge, secondo dati ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, su studio commissionato dal Ministero dell’Ambiente, “ogni 100 metri di sabbia si trovano in media 800 oggetti e di questi l’80% è di plastica”.
L’analisi è stata effettuata tra il 2015 ed il 2017 e ha riguardato 60 spiagge italiane.
In un’altra indagine portata a termine in Puglia e Campania da Legambiente e Corepla (il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica), è risultato che in quindici arenili delle due regioni sono stati trovati 1.136 rifiuti ogni 100 metri lineari di spiaggia.
Nello specifico, si legge nel comunicato di Legambiente, in Campania sono state monitorate 8 spiagge (9.750 rifiuti trovati per una media di 1.219 ogni 100 metri lineari) e 7 in Puglia (7.283 rifiuti, con una media di 1.040 oggetti ogni 100). La plastica si conferma il materiale più trovato e rappresenta l’84,3% dei rifiuti monitorati; a seguire ci sono vetro/ceramica (4,3%) e gli oggetti in metallo (4%).
Tra i rifiuti che ricoprono le nostre belle spiagge, troviamo principalmente pezzi di plastica (di grandezza variabile, tra i 2,5 ed i 50 centimetri), nel 10,7% dei casi; ma anche mozziconi di sigaretta (10%); tappi, coperchi e anelli di plastica (7,5%); i classici bastoncini cotonati di plastica (7%); pezzi/frantumi di polistirolo (6%); bottiglie per bevande (6%); calze per la coltivazione dei mitili (5,7%); plastica monouso (4,6%); materiali da costruzione (mattoni e mattonelle, ceramiche, calcinacci, fibra di vetro e materiale isolante, sono esempi dei rifiuti che rientrano in questa categoria) nel 3,2% dei casi; buste e shopper (2,8%).
C’è poi lo stato di salute del mare, che non è dei migliori, nonostante siano anni che si parla di questi argomenti. Sempre secondo dati ISPRA: per ogni chilometro quadrato di fondale marino, sono stati infatti trovati fino a 99 oggetti e di questi il 77% è di plastica, mentre sulla superficie galleggiano circa 3 oggetti di plastica ogni chilometro quadrato.
A questo scenario, si aggiungono anche i micro-rifiuti inquinanti: la loro presenza è di ben 28 miliardi e si muovono indisturbati tra le acque.
Questi dati sono confermati anche dal nuovo volume “Atlante mondiale della zuppa di plastica”, di Michiel Roscam Abbing, secondo cui finisce in mare il 3% della plastica prodotta ogni anno nel mondo. Nel 2014, la produzione mondiale di plastica era di 311 milioni di tonnellate e in quell’anno finirono in mare tra 15.000 e 51.000 miliardi di particelle di microplastica, per un peso complessivo stimato fino a 236 mila tonnellate.
Dove finisce tutta questa plastica? Purtroppo, oltre il mare inquinato, dobbiamo affrontare anche il problema della fauna marina contaminata: analizzando il contenuto degli stomaci dei pesci che vivono tra i 200 e i 1.000 metri di profondità, è possibile che vengano ingerite tra le 12.000 e le 24.000 tonnellate di plastica l’anno.
Tutto inquinamento che poi ritroviamo sui nostri piatti.
Solo nell’Oceano atlantico, si legge in un articolo comparso recentemente su Nature Communication, i rifiuti in plastica che ogni anno vi finiscono sono una quantità compresa tra 4,8 e 12,7 milioni di tonnellate.
A partire dagli anni ’60 del secolo scorso, la plastica presente in mare è triplicata, con l’aumento più drammatico avvenuto negli anni ’90 e poi 2000.