Articolo a cura di Ing, Massimo Di Virgilio, Presidente del CDTI
La crescita
La crescita non è una promessa. È un fatto!
Le condizioni a monte perché essa possa verificarsi sono: un contesto sociale, in cui il fallimento non sia uno stigma, un impianto normativo adeguato che abiliti un ciclo naturale fatto di costruzione e ri-costruzione aziendale, una collaborazione leale di tutti, un consenso ambientale. Tutti elementi che non sono necessariamente nella cassetta degli attrezzi dei diversi manager. Ciascuno di loro è chiamato a guidare nelle condizioni date. Il suo compito è guidare lo sviluppo. Riuscirà nell’impresa se e solo se possiede una cultura dello sviluppo nel senso letterale del termine. Significa che deve saper coltivare, cioè convertire e rielaborare competenze ed esperienze professionali e manageriali. Questo è il grande ruolo di chi guida.
Ma non si vince da soli. Serve un team, affiatato, coeso, motivato e appassionato. Tutti questi elementi sono di per sé necessari, ma solo la loro combinazione le fa divenire insieme sufficienti. “Imprehendere” in latino significa intraprendere e imparare ad apprendere. Chi guida deve aver la forza di far accadere le cose, creando una “macchina”, capace non solo di processare quanto si è progettato ma anche di replicarlo nel tempo.
Come detto in esordio la crescita non è
una dichiarazione programmatica di intenti; non è un target di budget. È qualcosa
che chi guida ha fatto accadere. Se l’energia potenziale non si trasforma in energia
cinetica non si produce alcunché, anzi si provoca una dissipazione. Chi guida
deve essere consapevole che lo scetticismo intorno a lui si modifica solo con i
fatti. Se non si possiede una cultura della crescita, non si può realizzarla.
L’impresa
La tipologia di “impresa” che si dovrà adottare per tentare di realizzare la crescita è un costrutto, uno dei diversi modelli concepiti, studiati, normati e realizzati. A determinare quale debba essere la forma più utile nella fase attuativa saranno la storia e l’esperienza dei fondatori oltre alle loro eredità culturali.
Lo scenario estremamente variegato costituito da imprese familiari, individuali, confessionali, laiche, pubbliche, private, profit, non profit, artigiane, industriali, reti di imprese, cooperative, non presenta alcun riscontro oggettivo che ci possa far affermare che differenza ci sia nella capacità di generazione della crescita.
Ma la domanda principale è se ci siano modelli d’impresa con caratteristiche peculiari migliori delle altre nella realizzazione dello sviluppo. Il mio parere è che si possa negare la sussistenza di una condizione di questo tipo; non ci sono categorie favorite o sfavorite a priori. Tutte posseggono i fondamentali per evolvere anche se si potrebbe obiettare che, proprio nel perseguimento di crescite importanti, ci sono modelli più o meno efficaci. Analogamente si potrebbe obiettare che, nel caso di crescite poderose, la complessità gestionale indotta da una “governance” complicata potrebbe rendere meno efficaci i meccanismi decisionali.
In aggiunta occorre sottolineare il ruolo altrettanto importante che giocherà l’architettura realizzativa. La sfida consiste nel costruire un circuito di feedback virtuoso, cioè un “amplificatore”, dotato di sistemi di protezione capaci di preservarlo dal rischio di trasformarsi in un “oscillatore”. Nessuna organizzazione può prescindere dal rispetto dei fondamentali: la crescita si ottiene migliorando ricavi e margini, lavorando su produttività, innovazione e formazione. Occorrerebbe tuttavia indagare, e lascio qui aperto un grande quesito, se, e quali siano le migliori declinazioni del profitto per incidere sul futuro non solo delle imprese, ma dei lavoratori e della collettività. La partita è aperta e forse è più giusto che sia così, perché non ci sono sentenze perentorie, ma competizione permanente. E non ci sono limiti, come ripeteva continuamente ai suoi collaboratori Sergio Marchionne.
Articolo a cura di Ing, Massimo Di Virgilio, Presidente del CDTI