In questi “giorni sospesi” mi è venuto in mente un ricordo degli anni dell’università quando, con qualche incertezza, studiavo la differenza fra “beni pubblici” e “beni comuni”.
Il carbone, il legno, i pesci del mare sono beni comuni perché il loro consumo presenta rivalità fra coloro che se ne possono avvalere e sono tali da poter escludere qualcuno dalla loro fruizione: di qui il sistema delle licenze e delle concessioni.
I beni pubblici, come l’aria o l’illuminazione pubblica, non possono escludere nessuno e il loro consumo non riduce la possibilità che altri se ne servano: in questi giorni drammatici avvertiamo sia importante il nostro impegno individuale perchè la sanità resti un bene pubblico e la pandemia non ponga i medici di fronte alla scelta di non curare qualcuno.
Di questa vicenda ricorderemo anche il ruolo che il digitale sta giocando, di tessuto connettivo fra le persone e fra le comunità, di piattaforma per mantenere attive le aziende e le organizzazioni e di edicola dove far circolare l’informazione.
Internet si sta rivelando dunque un bene pubblico ed ecco perché è ancor più urgente adottare comportamenti responsabili:
- far circolare l’informazione anche a chi non ha accesso a siti di news e social media;
- evitare acquisti online non indispensabili per rispettare il lavoro delle aziende e degli spedizionieri;
- prendersi a cuore che vi siano conversazioni veridiche, utili, che non cedano al panico;
- vivere, per chi ne ha la fortuna, lo smart working con rispetto per colleghi, clienti e fornitori facendo, per quanto possibile il proprio lavoro.
Se la crisi legata al coronavirus ci indurrà a considerare, con scelte finanziarie coerenti e con decisioni legate alla creazione di competenze adeguate, la sanità pubblica ancor più come un presidio da rafforzare, impareremo ancora una volta quanto l’hardware e il software della Rete, la sua infrastruttura ed il suo uso responsabile, siano a loro volta pilastri del nostro vivere civile.