Il 19 giugno scorso, su questo quotidiano online, è stato pubblicato un mio articolo con cui lanciavo l’allarme sui pericoli di contagio, in vista dell’avvio della stagione estiva, per le comprensibili difficoltà dei controlli per il rispetto del distanziamento sociale sia sulle spiagge sia nelle discoteche di cui era stata disposta la riapertura.
Sono stata facile profeta.
Ora al termine di una stagione estiva, caratterizzata da una discreta ripresa, grazie al turismo interno, ma in cui la prevenzione anti Covid-19 è stata affidata prevalentemente alla buona (ma scarsa, come dimostra la foto accanto) volontà degli italiani, ci ritroviamo con i numeri dei contagiati in aumento e con lo spettro all’orizzonte di una nuova chiusura generalizzata.
Eppure, allora, quando è stata disposta la ripresa delle attività economiche con la fine del lookdown, sarebbe stato sufficiente avere il coraggio di adottare alcune misure ulteriori, che evitassero di vanificare i sacrifici fatti fino ad allora.
Si poteva, ad esempio prevedere:
1. il divieto di qualsiasi tipo di animazione tradizionale nelle spiagge e negli alberghi.
2. Il mantenimento del divieto di funzionamento delle discoteche nella maniera tradizionale, incentivandone la riconversione e la riduzione del numero dei frequentatori;
3. Il divieto di vacanze all’estero;
4. Il potenziamento delle attività di controllo sul rispetto del distanziamento sociale, con i Prefetti in funzione di coordinatori.
Perché non é stato fatto quasi nulla?
Dopo il periodo di chiusura totale, che è costato tanto al Paese, era necessario non perdere il vantaggio accumulato sul virus e sulla sua perversa capacità di espandersi.
Se c’è, infatti, una cosa positiva che il Covid-19 ci ha insegnato in quei mesi è stato il rafforzamento del senso della comunità e nello stesso tempo del senso della responsabilità individuale e collettiva.
Si è fatta strada, persino in un popolo come il nostro dove la cultura del familismo prevale su quella della vita associata nella polis, l’idea che, di fronte ad una situazione così grave, tutto deve essere pensato in funzione della tutela della comunità attraverso la responsabilità, oltre che delle istituzioni, ma questo dovrebbe essere scontato, anche di ogni singolo componente.
In tal senso molto efficaci sono stati i messaggi pubblicitari, sia istituzionali che aziendali, che sono andati in onda sui mass media durante la fase acuta del lookdown: abbiamo assistito, per la prima volta, ad una perfetta sintonia dei contenuti previsti nelle varie campagne di comunicazione, tutte incentrate da una parte a rafforzare nel cittadino comune attenzione e rispetto per le misure anti contagio, dall’altra a diffondere la consapevolezza che la salvezza della comunità dipende dalla collaborazione e dalla responsabilità di tutti.
In quei mesi drammatici, i’azione dei nostri governanti è stata ineccepibile, anche se la drammaticità del momento avrebbe forse richiesto la formazione di un governo tecnico che coinvolgesse tutto l’arco costituzionale e non un governo sostenuto su una maggioranza sia pure vasta, al fine di far assumere fino in fondo a tutti la responsabilità di decisioni impopolari e gravemente limitative delle libertà personali.
Nella fase drammatica del lookdown, abbiamo tutti compreso quanto la tutela della comunità fosse un valore sociale fondamentale e si è innescato un circolo virtuoso in cui tutti, politici, imprenditori, artisti, cittadini comuni, contribuivano a realizzare il comune obiettivo.
Giunti sulla soglia dell’estate, sarebbe stato necessario continuare con l’azione avviata e impartire direttive su una ripresa severamente controllata e sulla prosecuzione di quell’ atteggiamento collettivo virtuoso nei confronti dell’epidemia.
Si sarebbe potuto chiedere un ulteriore sacrificio a qualche categoria, come quella dei discotecari, ( che non sono un numero spropositato, e, peraltro, guidati come sono da un presidente molto responsabile, avrebbero potuto essere supportati adeguatamente), prescrivendo agli italiani comportamenti responsabili anche in vacanza, e proseguendo, con gli opportuni aggiustamenti, con la campagna di comunicazione portata avanti efficacemente durante il lookdown e con quella sui controlli altrettanto efficacemente effettuati sotto la supervisione dei Prefetti.
Niente di tutto ciò.
Eppure ad inizio estate c’è stato qualche presidente di regione, come quello della Sardegna, una regione quasi Covid–free, che aveva espresso l’intenzione di introdurre qualche misura per salvaguardare il territorio ed evitare i rischi di importazione e di diffusione del virus complice l’atmosfera vacanziera.
Ma é stato subito zittito. Come sono stati silenti tutti gli altri Presidenti delle Regioni, anche quelli più “barricaderi”, che avevano minacciato fuoco e fiamme per gli irresponsabili, ma che si sono uniformati all’imperativo dilagante di non disturbare il sacro rito vacanziero.
E così liberi tutti…compreso il virus che ha pervicacemente compreso che ora il suo vettore privilegiato poteva essere il settore giovanile con la sua voglia di divertirsi, abilmente manipolata da imprenditori privi di scrupoli.
Ora siamo a settembre, con il terrore di un’ulteriore esplosione dei contagi, con il miraggio ancora lontano del vaccino e con la ripresa delle tensioni politiche connesse alla vicina consultazione elettorale e al problema irrisolto dell’immigrazione.
E con l’esigenza di trovare, di nuovo e velocemente, una strategia efficace anti Covid-19.