Rubrica settimanale SosTech, frutto della collaborazione tra Key4biz e SosTariffe. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.
Da una parte maestri e professori preparatissimi, inappuntabili, che spaccano il minuto, di fronte a platee di studenti a formare un mosaico di volti attenti. Dall’altra lezioni continuamente rinviate, quando non sostituite da un carico di compiti oltre la norma perché “le videoconferenze non servono”.
E ancora: da una parte tablet nuovi di pacca, PC fissi con monitor in grado di rivaleggiare con l’OLED del salotto, connessioni in fibra ottica da un giga e più, e dall’altra ADSL che funzionano a singhiozzo e dispositivi datati, per conversazioni in cui non si sente la metà delle parole e la disconnessione improvvisa è sempre in agguato.
All’inizio della pandemia di COVID-19, fin da subito si è capito che una delle priorità principali riguardava (e riguarda) la scuola. Per forza di cose si è dovuto procedere improvvisando settimana dopo settimana, finché non è diventato chiaro che il lockdown sarebbe durato mesi, non giorni.
Con tutto ciò che ne consegue: la didattica, a tutti i livelli, ma anche la valutazione, con il problema dell’esame di maturità per chi conclude le superiori che ha assunto sembianze proteiformi (commissione interna, membri esterni, tutti promossi, possibilità di bocciare, prova scritta, prova orale).
Se c’è una cosa che la didattica a distanza ha dimostrato, ora che la fase 2 è iniziata (ma non per la scuola né per l’università), è che l’Italia viaggia davvero a due velocità: e quando di mezzo c’è un servizio fondamentale per i cittadini come l’istruzione, la situazione si complica ulteriormente.
Didattica a distanza, per molti ma non per tutti
Apparentemente, le lezioni via Zoom, Teams, Meet e qualsiasi altra piattaforma utilizzata da scuole e istituti sono state un successo. Secondo un sondaggio di Cittadinanzattiva, il 92% delle scuole ha attivato la didattica e l’85% ricorre alle lezioni online per non far perdere il passo agli studenti.
Numeri che sembrano alti, ma che non lo sono, considerato che in Italia ci sono 57.831 istituti scolastici e ciò vuol dire che circa 5.000 scuole non hanno fatto ricorso alla cosiddetta DaD; quasi il doppio non fa lezioni online, lasciando decine di migliaia di studenti in una sorta di limbo durato finora tre mesi, e con un futuro ancora più incerto.
Mesi preziosi, che lasceranno moltissimi indietro rispetto ai loro coetanei – più o meno come aver perso un quadrimestre – e costringeranno, nella migliore delle ipotesi, una didattica tradizionale a tamburo battente una volta che si tornerà in classe (chissà quando: l’università di Cambridge ha appena comunicato che fino all’estate del 2021 le lezioni saranno tenute online). Ma questa è solo una parte del problema.
La scuola e il digital divide
Partecipare alle videolezioni non è semplice per tutti: se è vero che quasi ogni studente (ma non tutti, e soprattutto non nelle fasce d’età più giovani) possiede uno smartphone, è innegabile come utilizzare il telefonino per le attività di classe sia molto complicato, in particolare quando si utilizza la condivisione dello schermo a mo’ di lavagna virtuale, una delle modalità più apprezzate e utilizzate dai docenti. Inoltre, se è vero che le connessioni 3G o 4G a basso costo non mancano (su SOSTariffe.it è possibile trovare tutte le offerte più convenienti degli operatori italiani), non sempre la ricezione è ottimale: nessun problema, magari, per i social o per scaricare la posta elettronica, che richiedono banda limitata; molti di più quando si ha bisogno di una connessione in grado di supportare la telepresenza per decine di utenti.
Non tutti hanno un PC fisso, e anche quando ce l’hanno non è scontato che una normale ADSL o una FTTC, soprattutto se si trova a una certa distanza dall’armadio stradale, possano garantire video fluidi e audio senza interruzioni. Per gli studenti con disabilità, ad esempio i non vedenti, offrire supporto è molto più difficile che con le lezioni frontali tradizionali. E infine ci sono le situazioni familiari difficili, che rendono molto complesso, per tanti, partecipare a una lezione a casa propria; nonché quelle meno difficili ma comunque logisticamente ardue, come quando i figli in età scolare sono due o più, e devono tutti seguire in contemporanea le proprie lezioni (su dispositivi diversi). Il digital divide c’è ancora, eccome.
Connessioni scarse, pochi dispositivi e orari non rispettati
Nel sondaggio di Cittadinanzattiva, il 48% dei soggetti intervistati – tra genitori, insegnanti e studenti – ha segnalato difficoltà di vario genere: nell’ordine, connessione inadeguata per il 48,5%, condivisione del dispositivo tra più familiari per il 33,5%, assenza di dispositivi per il 24,5% e assenza di connessione per il 16,4% (speculare ai dati Istat, che parlano di un 16,3% delle famiglie italiane senza accesso alla rete). Un po’ tutti segnalano un aumento dei compiti, e in parecchi casi docenti diversi utilizzano piattaforme diverse, costringendo gli studenti a impratichirsi con tutte. E soprattutto, soltanto il 9% fa lezione per almeno 12 ore a settimana: dire che “la scuola attua la didattica a distanza”, insomma, non racconta tutto.
Il governo ha da poco stanziato 85 milioni (non tantissimi, anche se tutti sappiamo quanto il momento sia difficile) per fronteggiare le difficoltà della didattica a distanza, 70 dei quali verranno utilizzati per mettere a disposizione degli studenti meno abbienti, in comodato d’uso, dispositivi digitali individuali per la fruizione delle piattaforme di apprendimento e per garantire la connettività di rete nei territori ove essa sia carente o mancante. Ma c’è ancora tanto da fare.
Cosa succede nel resto del mondo
La questione, si capisce, non riguarda soltanto l’Italia; anzi, siamo in fin dei conti un Paese privilegiato, visto che la grande maggioranza della popolazione è connessa. Ben diversa la situazione in altre parti del mondo: ad esempio l’Asia non è solo Hong Kong o Seoul, basti pensare che in Cina soltanto il 46% degli abitanti utilizza un PC fisso e il 36% un laptop. La maggioranza utilizza lo smartphone, che come abbiamo visto ha evidenti limiti per la didattica a distanza.
E gli USA? Tra gli altri Jack Dorsey, il CEO di Twitter – che nelle ultime settimane si è distinto per donazioni estremamente generose, in particolare 1 miliardo di dollari, cioè un terzo del suo patrimonio totale, per finanziare le attività di soccorso contro COVID-19 e altre attività filantropiche – ha donato 10 milioni di dollari per rimediare al digital divide per gli studenti di Oakland. Già, perché proprio in California, la supertecnologica California della Silicon Valley, uno studente su cinque non ha accesso alla banda larga o non ha nemmeno un computer, circa 1,2 milioni di persone. In particolare, nelle aree rurali solo il 34% delle famiglie ha l’accesso a Internet. Guai a considerare già vinte battaglie che sono ancora tutte da combattere.
https://www.statista.com/statistics/1106536/online-school-classes-due-to-coronavirus-in-italy/
https://www.timeshighereducation.com/news/will-online-education-widen-asias-digital-divide