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Con il DPCM per la fase 3, tornano le autocertificazioni nel trasporto aereo. I dati sanitari dei viaggiatori nelle mani delle compagnie?

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La nuova autocertificazione pone poi seri problemi di tutela dei dati personali dei viaggiatori nel prevedere che un soggetto privato (cioè il vettore aereo) diverso dalle autorità sanitarie preposte venga a conoscenza dei dati sanitari dei cittadini viaggiatori.

Il recente Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 11 giugno 2020 recante Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, recante misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19, e del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, recante ulteriori misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 prevede all’Allegato 15 (Linee  guida  per  l’informazione  agli   utenti   e   le   modalità organizzative per il contenimento della diffusione  del  covid-19  in materia di trasporto pubblico) uno specifico Allegato Tecnico dedicato alle misure di contenimento della pandemia nel trasporto aereo che ora nella fase 3 si sta aprendo a livello europeo e internazionale.

Tra le varie misure previste si legge anche quanto segue:

Si richiede l’osservanza delle  seguenti  misure  a  carico, rispettivamente,  dei  gestori,  degli  operatori aeroportuali,  dei vettori e dei passeggeri:

  • sia  acquisita  dai viaggiatori al momento del check-in online o in aeroporto e  comunque prima dell’imbarco specifica autocertificazione che  attesti  di  non aver avuto contatti stretti con persone affette da patologia COVID-19 negli ultimi due giorni, prima dell’insorgenza dei sintomi e  fino  a 14 giorni dopo l’insorgenza  dei  medesimi;  l’impegno,  al  fine  di definire la tracciabilità dei contatti,  a  comunicazione  anche  al vettore   ed   all’Autorità   sanitaria   territoriale    competente l’insorgenza di sintomatologia COVID-19 comparsa  entro  otto  giorni dallo sbarco  dall’aeromobile”.

Si precisa fin da subito che l’errore grammaticale (“l’impegno …. a comunicazione”) è proprio del Legislatore, non di chi scrive: a tale livello è arrivata ai nostri tempi la sciatteria redazionale dei testi legislativi, che porta alla pubblicazione di uno sgrammatico testo normativo nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana…

Ciò detto, deve segnalarsi che dopo un lockdown caratterizzato da modelli (stratificati) di autocertificazioni che hanno sollevato un numero di polemiche (ne abbiamo spesso parlato anche qui, su Key4Biz) pari forse alle ilarità su (assurdi) contenuti (come l’obbligo di essere medici di se stessi, certificando di non essere affetti da COVID-19 senza aver fatto tamponi o test…), ecco che nel momento della riacquisita libertà, proprio quando con le fasi 2 e 3 sembrava finita la limitazione (di dubbia costituzionalità) delle nostre libertà, il Governo pensa bene di reintrodurre l’autocertificazione nel traposto aereo. Ovviamente,  una scelta politica del genere può ben essere condivisibile visto che di certo la pandemia (come mostrano i numeri di questi giorni, in risalita) non può certamente dirsi finita e dunque ben vengano misure di precauzione e tutela della salute della collettività. Meno condividibile, tuttavia, è la solita filosofia approssimativa nella redazione delle norme con un approccio che – all’atto pratico – finisce per svilire il diritto alla protezione dei dati personali.

Intanto: regna la confusione totale. Chi deve mettere a disposizione i modelli di autocertificazione? La compagnia aerea? La società di gestione degli aeroporti?

Recentemente il quotidiano La Nuova Sardegna ha raccontato l’assurda vicenda (vissuta anche dalla deputata a 5 Stelle Maria Lapia, che la ha raccontata su Facebook) dei passeggeri di un volo diretto in Sardegna da Roma bloccati all’interno dell’aerostazione da agenti della Guardia di Finanza che chiedevano l’autocertificazione Covid-19 che ovviamente i passeggeri non avevano.

Ad oggi (ad obbligo di autocertificazione vigente) l’effettuazione di check in on line non prevede da parte di numerose compagnie aeree – i cui siti web sono stati verificati – alcun modello di autocertificazione disponibile per quel passeggero che – ai sensi del DPCM 11 Giugno 2020 – voglia rispettare la condizione normativa per cui “sia  acquisita  dai viaggiatori al momento del check-in online l’autocertificazione”. Bene – si dirà – allora è comunque obbligatorio esibirla in aeroporto, “comunque prima dell’imbarco”. Non si comprende tuttavia se il viaggiatore possa redigerla a forma libera e portarla con sé o se al desk della compagnia aerea sarà disponibile un modello di autocertificazione (ovviamente accompagnato da tutte le idonee misure data protection, a partire da una ideona informativa sul trattamento dei dati personali).

Venendo ai contenuti dell’autocertificazione, nuovamente (come già era capitato durante il lockdown con i vari modelli di autocertificazione che si sono susseguiti) il dichiarante deve assumersi la paternità di dichiarazioni di cui a monte non può sapere per lo meno se siano veritiere o fallaci. Difatti, non si vede come si possa dichiarare di “non aver avuto contatti stretti con persone affette da patologia COVID-19 negli ultimi due giorni” (prima dell’imbarco) se – al contrario – potremmo essere entrati in contatto con soggetti asintomatici, a maggior ragione “prima dell’insorgenza dei sintomi”. Stessa considerazione sulla dichiarazione di non essere entrati in contatto con una persona COVID positiva nei 14 giorni dopo l’insorgenza dei sintomi: anche in tali casi questi sintomi dovrebbero per lo meno essere certificati da un tampone o da un test sierologico per avere la certezza COVID correlata di quanto si sta dichiarando…

La nuova autocertificazione pone poi seri problemi di tutela dei dati personali dei viaggiatori nel prevedere che un soggetto privato (cioè il vettore aereo) diverso dalle autorità sanitarie preposte venga a conoscenza dei dati sanitari dei cittadini viaggiatori.

Le precedenti autocertificazioni per lo meno finivano nelle mani delle Forze dell’Ordine (e anche in quei casi si ebbe modo di segnalare in appositi contributi come non fosse affatto chiaro che fine facessero i modelli cartacei contenenti i dati sanitari dei cittadini, che comunque dovrebbero essere tutti distrutti entro al massimo il prossimo 31 Dicembre 2020, a meno che non vi siano contenziosi in essere sulle false autocertificazioni e sulle sanzioni amministrative e penali comminate). Ora la norma del dpcm 11 Giugno 2020 non solo prevede la “comunicazione dell’insorgenza di sintomatologia COVID-19 comparsa  entro  otto  giorni dallo sbarco  dall’aeromobile anche  al vettore” (oltre che  “all’Autorità   sanitaria   territoriale competente”), ma non viene specificato a quali rappresentanti del vettore (una semplice hostess??) chi, con quali modalità, sulla base di quali idonee garanzie di protezione dei dati. Inoltre, la norma non contiene alcun riferimento alla resa di informazioni preventive al viaggiatore, né sono effettuati rinvii al rispetto della applicabile normativa sulla protezione dei dati personali (che ovviamente, anche in assenza di tali rinvii, troverà applicazione).

Non si comprende perché vi debba essere questo obbligo in capo al viaggiatore di comunicazione diretta al vettore aereo quando la comunicazione dei dati sanitari – per consolidata normativa (anche ai sensi del Codice della privacy) – può avvenire solo se mediata da professionista della sanità.

Lo stesso Garante privacy ricorda che in base a quanto stabilito dalle misure emergenziali, spetta solo alle autorità sanitarie competenti (cui ovviamente il viaggiatore che si scopra infetto dovrà rivolgersi) procedere poi alla ricostruzione della catena dei contatti al fine di attivare le previste misure di profilassi. Sono solo le autorità sanitarie destinatarie di comunicazioni dei dati sanitari dei cittadini affinché le stesse possano assolvere ai compiti e alle funzioni previste anche dalla normativa d’urgenza adottata in relazione alla predetta situazione emergenziale. Dovrebbe essere la sola autorità sanitaria, nel rispetto di idonee garanzie data protection, a coordinarsi con la compagnia aerea con la quale un viaggiatore poi risultato infetto ha viaggiato.

Ciò appare coerente anche con il documento del 15 Giugno 2020 del Centro Europeo per il Controllo delle Malattie (ECDC) intitolato “Considerazioni relative ai dati di localizzazione dei passeggeri, alle misure di screening in entrata e in uscita dagli aeroporti e alle dichiarazioni sanitarie nel contesto del COVID-19 in UE, SEE e UK”. In tale documento, difatti, l’ECDC segnala tra l’altro:

  1. che gli screening fatti in entrata e uscita negli aeroporti d’ingresso di un Paese sono inefficaci nel prevenire la trasmissione del virus SarsCoV2;
  2. che in molti Paesi parte dello screening è rappresentato dalla richiesta ai passeggeri di rilasciare dichiarazioni sulla salute mediante formulari o questionari rivolti alla individuazione di specifiche affezioni;
  3. che si genera una grave confusione nel proliferare di modelli di dichiarazione richiesti da normative nazionali che obbligano vettori e autorità sanitarie e trattare dati sanitari;
  4. che tali dichiarazioni contenenti dati sanitari dei viaggiatori non possono essere trattati dai vettori aerei ma solo dalle preposte autorità sanitarie o da professionisti della sanità;
  5. che non dovrebbe essere possibile combinare nei medesimi formulari o questionari dati di localizzazione (si pensi al contact tracing) e dati sanitari.

Appare opportuno riportare la parte del documento dell’ECDC relativa agli aspetti sopra segnalati, per comprendere come solo dopo quattro giorni dalla entrata in vigore del dpcm 11 Giugno 2020 la norma che si è qui commentata risulti non conforme ai principi di protezione dei dati personali che lo stesso ECDC richiama:

Sebbene l’aggiunta di dichiarazioni sullo stato di salute nel contesto di autocertificazioni o questionari sulla esposizione ai sintomi possa accrescere la precisione dei processi di screening, al tempo stesso tali scelte determinano l’insorgere di ulteriori sfide in termini di necessità di maggiori risorse, di opportuna pianificazione, di logistica e di rispetto della applicabile normativa sulla protezione dei dati personali. Intanto, va ricordato che i sintomi da COVID 19 sono simili a quelli di numerose altre affezioni delle vie respiratorie (principalmente: influenza, riniti allergiche e altri virus respiratori) e in nessun modo è stato fino ad oggi provato che un singolo sintomo o una combinazione di sintomi indicano inequivocabilmente l’affezione da COVID 19. Gli Stati Membri devono assicurare che la raccolta di formulari o questionari contenenti dati sanitari sia conforme al quadro legale applicabile in materia di protezione dei dati personali e che il trattamento da parte di compagnie aeree, società di gestione aeroportuale e pubbliche autorità sanitarie sia conforme al GDPR o per lo meno ad una specifica norma che sia specificatemene adottata. Difatti, molti modelli di dichiarazione contenenti dati sanitari sono stati rapidamente emanati all’inizio della pandemia e questo ha portato a un numero diverso di differenti approcci, con formulari distribuiti da compagnie aeree che altro non hanno fatto se non aumentare la confusione. Sono difatti solo le autorità pubbliche a poter effettuare lo screening di simili dichiarazioni sanitarie, gestendo poi con il viaggiatore il relativo seguito. Non è possibile la gestione manuale da parte di soggetti diversi dalle competenti autorità pubbliche di modelli cartacei, che aggiungono inefficienza ai processi di screening. Inoltre, i dati sanitari dovrebbero devono essere conservati separatamente dai dati che consentono (attraverso ad esempio la carta di imbarco) la localizzazione del viaggiatore. I dati sanitari, difatti, possono essere raccolti e trattati solo da autorità sanitarie e conservati in specifici e separati database sanitari di queste ultime, adeguatamente protetti”.

Tra l’altro, lo stesso ECDC allega al documento un template di autodichiarazione da gestirsi ad opera delle autorità sanitarie nel contesto dei controlli sui viaggi (a livello internazionale, difatti, si sta discutendo in sede ICAO circa l’adozione di un modello di autocertificazione condiviso e uguale per tutti i viaggiatori). Tale modello – molto più correttamente rispetto alle astruse richieste di autocertificazione del governo italiano – richiede al viaggiatore (che legge preventivamente un testo di informativa su finalità, destinazione dei dati e tempi di conservazione) di dichiarare:

  1. se negli otto giorni precedenti il viaggio ha avuto sintomi quali tosse (secca o grassa), febbre, spossatezza generale, perdita di peso improvvisa, dolori muscolari, perdita del senso di gusto od olfatto (non viene richiesto cioè al passeggero di certificare di essere non essere stato a contatto con soggetti COVID positivi!);
  2. se nei 14 giorni precedenti al viaggio il viaggiatore è stato in contatto con soggetti ufficialmente diagnosticati come COVID positivi (e questo ha senso: si fa riferimento infatti ad una certificazione ufficiale delle autorità sanitarie e non si lascia al viaggiatore – come invece richiede il dpcm 11 Giugno 2020 – l’obbligo di certificare l’affezione o meno di terzi con cui è entrato in contatto….);
  3. quali città e paesi si sono visitati nei 14 giorni precedenti al viaggio, specificando la durata dei soggiorni. 

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