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Auditel, Censis, Agcom e servizi segreti: due convegni con poco sale

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Ieri mattina a Roma due iniziative convegnistiche confermano l’arretratezza “digitale” dell’Italia, il deficit di spirito critico, a fronte di iniezioni di ottimismo.

Ieri mattina si sono tenute a Roma, in un consesso altamente istituzionale qual è la Camera dei Deputati (a Montecitorio e Palazzo San Macuto), in contemporanea, due eventi che stimolano una naturale riflessione sullo stato di evoluzione dei “ragionamenti” in materia di media, intesi come comunicazione e come “intelligence” (la convergenza tra le due dimensioni è sempre più intrecciata, anche se sembra sfuggire ai più).

A Montecitorio (Sala Aldo Moro), è stata presentata la seconda edizione di un rapporto di ricerca promosso da Auditel e co-redatto assieme a Censis: della prima edizione, ne avevamo scritto noi stessi su queste colonne l’anno scorso (vedi “28 milioni di italiani vanno a letto con lo smartphone”, su “Key4biz” del 26 settembre 2018), e “Key4biz” ne ha dato notizia ieri stesso (vedi “Censis-Auditel, per la prima volta più smartphone che Tv in Italia”, di Paolo Anastasio).

A Palazzo San Macuto (Sala del Seminario), è stata presentata la Società Italiana di Intelligence, iniziativa promossa dalla Link Campus presieduta da Vincenzo Scotti, che da tempo cerca di presidiare il terreno della formazione professionale delle barbe finte italiche.

In entrambe le iniziative, siamo stati costretti ad osservare un approccio assolutamente poco critico, poco dialettico, poco innovativo: un tono di cheto autocompiacimento ha caratterizzato le due presentazioni, con quasi totale assenza di stimoli dialettici.

L’iniziativa Auditel-Censis ha proposto un set di dati non particolarmente innovativi, ed assolutamente deludenti considerando la ricchezza potenziale di informazioni della “indagine di base” Auditel, e le elaborazioni evolute e raffinate che essa potrebbe produrre: basterebbe dare “carta bianca” – ovvero incarichi adeguatamente remunerati, con un approccio indipendente – al massimo esperto italiano della materia, qual è il professor Francesco Siliato (Studio Frasi)… Quel che ha stupito è stato il tono totalmente positivo, decisamente ottimista, quasi monodimensionale, delle analisi. D’altronde, il titolo dell’iniziativa era sintomatico: “Tra anziani digitali e stranieri iperconnessi, l’Italia in marcia verso la Smart Tv” (oh, perbacco!). In particolare, non credevamo alle nostre orecchie, allorquando il fondatore del Censis, il professor Giuseppe De Rita (generalmente animato da una acuta quanto equilibrata vis polemica), ha teorizzato una sorta di correlazione tra… moltiplicazione degli schermi e… sviluppo democratico del Paese! Gli anziani e gli immigrati sembrano perfettamente integrati nell’habitat digitale italico, secondo queste teorizzazioni, che propongono addirittura un superamento del “digital divide” che – secondo altre fonti – caratterizza (eccome caratterizza!) il nostro Paese. A Montecitorio, ieri, è stata proposta la fotografia di una Italia “iperdigitalizzata”, che ci sembra più un pio auspicio che una concreta realtà. Secondo le analisi comparative internazionali, l’Italia è agli ultimi posti, nella “società digitale”. Nell’ultimo anno è forse avvenuto un miracolo?! Si nutrono dubbi.

Ha provocato un sorriso la confessione di Giuseppe De Rita, che ha sostenuto: “sono diventato digitale grazie alla badante moldava. Ho otto figli e quattro nipoti, pensavo che sarebbero stati loro i miei educatori digitali, e invece devo tutto alla mia badante moldava”, ma francamente affrontare una tematica così delicata quanto finora del tutto inesplorata (i consumi mediali delle comunità straniere in Italia) con una battuta ci è veramente parso troppo semplicista.

I partecipanti al “panel” sono apparsi tutti sintonici con una visione “positiva”, incluso il Presidente dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, Angelo Marcello Cardani.

Unica voce un po’ dissidente quella di un esponente della Lega Salvini, il Vice Presidente della Commissione di Vigilanza Rai Massimiliano Capitanio, che ha ricordato come si debba ragionare sui “contenuti” e non soltanto sulle “reti”, ovvero su quel che il nuovo sistema digitale produce, in termini di evoluzione sociale o meno, ricordando il terribile caso della adolescente che si è suicidata, a causa di una ignobile utilizzazione dei “social network”, dinamiche di una crescente strisciante patologia rispetto ai quali “le istituzioni” italiane (Agcom in primis, per “deficit di giurisdizione”) mostrano una grave passività ed una inquietante inerzia.

Un qualche cenno critico, ma lieve, anche dal Presidente della Commissione di Vigilanza Rai, il forzista Alberto Barachini, che ha sostenuto che, “di fronte alle aziende che stanno investendo su piccoli dispositivi che diventano sempre più grandi e, viceversa, televisori che diventano schermi, alla Rai bisogna chiedere di riflettere sulla qualità degli ascolti, su chi guarda la tv, come, perché e quanto”. Barachini ha evocato una ricerca statunitense che sostiene che è in atto una sorta di ascolto quasi “radiofonico” della tv, con lo schermo talvolta zeppo di informazioni testuali. “C’è davvero una comprensione di quanto si sta vedendo? È una domanda che dovrebbero farsi tutti i broadcaster, perché la rete digitale rischia di essere una potente macchina di dispersione dell’attenzione”, ha rimarcato, ricordando anche come un recente test Invalsi condotto nelle scuole medie italiane abbia segnalato un abbassamento della soglia di attenzione, provocato anche dalla pervasività della messaggistica. Domande cui potrebbero rispondere sia la Direzione Marketing Rai (affidata a Roberto Nepote), sia il neonato Ufficio Studi di Viale Mazzini (affidato ad Andrea Montanari), se il “public service media” italico avesse la sensibilità di studiare con adeguata attenzione il nuovo habitat mediale e socioculturale del Paese.

Quel che ci ha stupito, conclusivamente, è stata l’assenza di una lettura critica della realtà, e quel tono complessivamente buonista – finanche allegro! – della presentazione.

Toni altrettanto positivi (troppo… positivi!) nell’altra kermesse, ovvero la presentazione della neonata Società Italiana di Intelligence (da cui l’acronimo “SocInt”), presieduta da Mario Caligiuri, professore ordinario di Pedagogia della comunicazione presso l’Università della Calabria e Direttore del primo Master in Intelligence delle università pubbliche italiane (promosso nel 2007 con il supporto di Francesco Cossiga). Hanno preso parte alla presentazione – tra gli altri – il Presidente della Link Campus University Vincenzo Scotti, Paolo Messa del Centro Studi Americani (già nel Cda Rai), il prefetto e presidente del “Laboratorio sull’Intelligence” dell’Università della Calabria Carlo Mosca… L’obiettivo dell’iniziativa sarebbe quello di dare maggiore “dignità scientifica” agli studi sull’intelligence.

Anche qui, nessun cenno critico sui perduranti deficit di strategia complessiva del sistema italiano dell’intelligence, così come sul ritardo ancora in atto – se si osserva quel che avviene nel Regno Unito, in Francia e finanche in Spagna… – rispetto alla elaborazione di una idea di “intelligence culturale” multidisciplinare, ovvero di crescente convergenza tra sistema dei media, sistema culturale, e strategie necessarie per la difesa dello Stato.

Uscendo dai due incontri, lo spettatore non attento potrebbe aver tratto l’impressione di un Paese evoluto e sensibile: il che, purtroppo, non è.

Ci si domanda che senso hanno queste iniziative (simpatici coretti?!), se alla fin fine determinano la riproduzione del noto motivetto di Nunzio Filogamo del Trio Lescano (che siamo stati costretti tante volte a rievocare anche su queste colonne): “Tutto va ben, Madama la Marchesa”.

Autocompiacimento narcisistico dei promotori, con benedizione istituzionale?!

Consolidamento autoconservativo di territori presidiati, onde evitare nuovi entranti disturbanti?!

Come suol dirsi: “me la canto e me la suono”.

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