Con sentenza del 10/10/2019 n. 6904, il Consiglio di Stato, Sez. V. giurisdizionale, ribadisce un concetto già espresso dal medesimo Collegio (Cons. Stato, V, 15 marzo 2019, n. 1710), secondo cui “l’art. 32 del d.lgs. n. 50 del 2016 – al fine di assicurare con la massima celerità la certezza delle situazioni giuridiche ed imprenditoriali – ha del tutto eliminato la tradizionale categoria della ‘aggiudicazione provvisoria’, ma distingue solo tra: – la ‘proposta di aggiudicazione’, che è quella adottata dal seggio di gara, ai sensi dell’art. 32, co.5, e che ai sensi dell’art. 120, co. 2-bis ultimo periodo del codice del processo amministrativo non costituisce provvedimento impugnabile; – la ‘aggiudicazione’ tout court che è il provvedimento conclusivo di aggiudicazione(…)”.
In quest’ultima pronuncia, il Consesso soggiunge che tale approccio elimina in radice la possibilità che un atto adottato dalla stazione appaltante nell’ambito della procedura di gara possa essere ragionevolmente confuso per “aggiudicazione provvisoria”, proprio perché, a partire dall’ingresso in vigore del d. lgs. n. 50 del 2016, la figura dell’aggiudicazione provvisoria risulta ormai espunta dall’ordinamento.
Nondimeno, parte della dottrina ha fatto notare (Lipari, Il rito superspeciale in materia di ammissioni e di esclusioni (art. 120, co. 2-bis e 6-bis del cpa) va in soffitta. E, ora, quali conseguenze pratiche?, 20 giugno 2019, in giustizia-amministrativa) che l’abrogazione delle norme sul rito superspeciale di cui all’art. 120, comma 2-bis ha determinato la soppressione della previsione, contenuta nell’ultimo periodo del citato comma, riguardante l’inammissibilità dei ricorsi avverso i provvedimenti, inseriti nella serie procedimentale, non immediatamente lesivi.
L’ultimo inciso, infatti prevedeva che “È altresì inammissibile l’impugnazione della proposta di aggiudicazione, ove disposta, e degli altri atti endo-procedimentali privi di immediata lesività”.
Tuttavia, a parere della citata dottrina, “la regola esprimeva un importante principio sistematico, spesso valorizzato per impedire ogni possibile apertura giurisprudenziale verso l’ampliamento dei casi di onere di immediata impugnazione del bando di gara, della nomina della commissione, o di altre determinazioni riferite alle modalità di svolgimento della selezione. La soppressione di questo tassello della normativa, probabilmente non meditata in modo attento, potrebbe comportare qualche importante conseguenza sistematica: proprio nella prospettiva della CGUE, resterebbe in ogni caso ferma la facoltà (ma non l’onere) di impugnare gli atti intermedi della procedura.” (Lipari, cit.).
Invero, in molte pronunce della giurisprudenza amministrativa (da ultimo cfr. Cons. Stato, III, 29 marzo 2019, n. 2079; V, 8 gennaio 2019, n. 173) era stata già rassegnata la necessità di impugnazione di atti e provvedimenti immediatamente lesivi.
Dall’altro lato, la stessa giurisprudenza amministrativa aveva già dato corso al parallelo orientamento secondo cui gli atti endo-procedimentali non sono impugnabili.
Del resto si spiega così il parere del Consiglio di Stato sullo schema di decreto legislativo che stimava l’inciso in commento superfluo, trattandosi di regola generale e consolidata del processo amministrativo trattandosi di atti a lesività non immediata (così G.Severini, Il nuovo contenzioso sui contratti pubblici (l’art. 204 del Codice degli appalti pubblici e delle concessioni, ovvero il nuovo art. 120 del Codice del processo amministrativo) del 3 giugno 2016, in giustizia-amministrativa).
Tuttavia, sarebbe stato utile mantenere la previsione comma 2-bis, ultimo inciso, cit., soprattutto per i casi di lesività sopravvenuta insieme alla lesività di un provvedimento (G. Severini, cit.).
Del resto, il concetto di “endo-procedimentale” si deve giocoforza confrontare con il concetto di “piena conoscenza” da cui deriva lo strumento dei motivi aggiunti.