Gli effetti sulla salute derivanti dalle emissioni elettromagnetiche e l’annosa vicenda dei timori infondati, ma denunciati da parte di alcuni comuni, che bloccano l’installazione delle antenne 5G. Ne abbiamo parlato con Luca D’Antonio, Strategy and Innovation Director di JMA Teko, l’azienda specializzata nella produzione di impianti di telecomunicazioni per operatori e system integrator. L’azienda ha sede a Castel San Pietro, in provincia di Bologna, e fa capo al Gruppo statunitense JMA Wireless. JMA Teko ha preso parte al 5G Italy, l’evento principale sul 5G promosso dal CNIT e organizzato al CNR dal 3 al 5 dicembre, dove il tema delle conseguenze dell’elettromagnetismo sulla salute è stato affrontato in una tavola rotonda ad hoc.
Key4biz. Qual è la sua opinione dal punto di vista professionale sul tema delle emissioni elettromagnetiche?
Luca D’Antonio. Questo è un tema delicato perché coinvolge diversi aspetti industriali dello sviluppo di una rete di telecomunicazioni mobile, che prevede investimenti enormi, oltre a quelli che gli operatori hanno già fatto per acquisire le frequenze 5G. Ma ne dovranno fare ancora di più per costruire la rete 5G. Ogni volta che si realizza una nuova rete è quasi come se si dovesse costruire dall’inizio. Siamo partiti con le reti analogiche, il Tacs, negli anni ’90; poi è venuto il Gsm (2G), che è la prima rete di comunicazioni mobile digitale europea; poi è venuto l’Umts (3G), ora siamo nell’era dell’Lte (4G) e stiamo cominciando ad entrare nella quinta generazione 5G, che richiede da parte degli operatori nuovi investimenti e maggiore capillarità.
Key4biz. Questo cosa significa?
Luca D’Antonio. Basti pensare al numero di utenti degli anni ’90 e confrontarlo con gli utenti attuali. Una rete deve essere progettata in base al numero di utenti per offrire un certo grado di servizio. Più aumentano gli utenti, più la rete deve essere diffusa. Quindi, per fare il 5G servono grandi investimenti sulle frequenze, grandi investimenti sulla rete da costruire. E per questo c’è un aspetto industriale importante.
Key4biz. C’è consapevolezza nella pubblica opinione delle norme sull’elettromagnetismo, che in Italia sono le più restrittive d’Europa?
Luca D’Antonio. L’avvento del 5G e la necessità di realizzare nuove stazioni radio sta suscitando un certo allarme. Una preoccupazione che da tecnico, che ha lavorato più di 20 anni in questo campo, non è giustificata. Può essere comprensibile da cittadino, ma non da tecnico perché l’Istituto Superiore di Sanità non ha mai evidenziato nessun rischio legato alle onde elettromagnetiche. Ma poi, soprattutto, è da tenere presente che il tema delle onde elettromagnetiche è stato ampiamente studiato e ampiamente normato.
Key4biz. Le regole ci sono.
Luca D’Antonio. Le regole ci sono e sono molto rigide. I livelli di un campo elettromagnetico sono una grandezza fisica ben misurabile. La legge italiana stabilisce che nei luoghi in cui è prevista o è prevedibile la presenza umana per un periodo superiore a quattro ore il limite da non superare mai è di 6 V/m.
Il limite massimo è stabilito dall’Icnirp, un organismo internazionale che ha studiato le emissioni elettromagnetiche e ha fissato un limite di 60 V/m, dieci volte superiore a quello italiano. Parlando di potenze, il nostro limite in Italia è cento volte più basso.
Questi 6 V/m rappresentano la somma dei campi di tutte le sorgenti, quindi se in una certa area arrivano i segnali di tre stazioni radio, ad esempio una di Tim, una di Vodafone e un’altra di Wind Tre, è la somma delle tre che non deve superare il limite di 6 V/m.
Key4biz. Ma se su queste stazioni radio gli operatori aggiungono le antenne e i sistemi radio 5G che succede?
Luca D’Antonio. Il limite da non superare resta sempre 6 V/m.
Key4biz. Quindi cosa succederà in futuro, che saranno smantellati i vecchi standard 2G, 3G e 4G per fare spazio al 5G?
Luca D’Antonio. In alcuni casi in futuro potrebbe essere opportuno spegnere una generazione precedente o depotenziarla. Però in alcuni casi non sarà possibile, perché gli utenti di terminali 2G e 3G sono ancora numerosissimi, così come i dispositivi Machine-to-Machine che spesso sono 2G, e gli operatori hanno un obbligo di servizio. Una soluzione sarebbe un intervento legislativo per innalzare i limiti di emissione in Italia. L’alternativa c’è, ma è difficile da realizzare e molto costosa per gli operatori, vale a dire quella di fare altri siti radio. Così facendo si possono usare sorgenti meno potenti. Facciamo un esempio legato all’illuminazione dei lampioni. Aumentando il numero di punti di illuminazione ti puoi permettere di diminuire la potenza mantenendo lo stesso effetto di illuminazione complessiva.
Aumentando il numero dei siti si diminuisce la potenza, pur mantenendo lo stesso livello di segnale. Ma fare nuovi siti oggi è difficilissimo perché si trovano le resistenze dei comuni e dei condomini, ed è sempre più costoso anche nei pochi casi in cui sia fattibile. Torniamo così al paradosso per il quale, per garantire un certo livello di servizio e rispettare i limiti di emissione, servono più siti e più antenne. È per questo che un trend già oggi avviato, cioè la condivisione dei siti fra operatori, diventerà sempre più diffuso, proprio per ridurre questi problemi.